Terminator: Genisys, la recensione
Quando nel 2007 i diritti di sfruttamento di Terminator furono acquistati dalla Halcyon Company, si stava già pensando in grande con l’intenzione di resuscitare un franchise ormai zoppicante facendone una nuova trilogia. Nel 2009 vede la luce Terminator: Salvation, primo capitolo di una trilogia ambientata nel futuro con uno John Connor adulto (interpretato da Christian Bale) a capo della resistenza umana contro le macchine. Il film fu un parziale flop e convinse poco pubblico e critica, tanto che l’operazione non ebbe seguito e Salvation rimase un caso isolato. Si torna a parlare di Terminator solo in tempi più recenti quando, uscita di scena la Halcyon anche per motivi finanziari, è Arnold Schwarzenegger a interessarsi in prima persona dell’ulteriore rilancio della serie e così, trovati due sceneggiatori (Patrick Lussier e Laeta Kalogridis) e un regista (l’Alan Taylor di Thor: The Dark World), comincia la produzione di quello che di fatto è il quinto episodio della saga, Terminator: Genisys.
Il gruppo di Resistenza capitanato da John Connor sembra aver sconfitto Skynet, ma il leader e il suo braccio destro Kyle Reese si rendono conto che un’unità di infiltrazione Terminator è appena stata inviata indietro nel tempo, nel 1984, per uccidere la madre di John prima che lo dia alla luce e far si che nel futuro non avvenga la sconfitta delle macchine. A questo punto anche Kyle torna indietro nel 1984 per proteggere Sarah Connor dal Terminator, ma giunto sul posto trova una situazione inaspettata: Sarah è pronta ad affrontare il cyborg, protetta da un altro modello di Terminator e informata sulla distruzione dell’umanità che avverrà da li a 25 anni.
Imparata la lezione che aveva portato all’insuccesso del precedente film, con Terminator: Genisys si cerca una strada sicura e si porta lo spettatore su lidi ben noti. Dopo un’introduzione ambientata nel 2027, che ci mostra un’umanità reattiva alla dittatura delle macchine, pronta a un momento di epocale svolta, facciamo un salto indietro nel tempo per finire nello scenario in cui si ambientava il primo mitico film di James Cameron. Alan Taylor ci mostra quello che ci hanno sempre raccontato e mai fatto vedere e remakizza in maniera certosina e affettuosa alcune scene dell’antenato ricostruendo la venuta del T-800 e di Kyle Reese al 1984 inquadratura per inquadratura. Il risultato è tanto auto-celebrativo quanto divertente, oltre che espediente sicuro per far si che l’attenzione e la simpatia dello spettatore-fan sia subito conquistata.
Ben presto arriva la svolta e quello che sembrava un divertito remake si trasforma in una complessa architettura narrativa che gioca con i paradossi e le linee temporali alternative. L’intento di Terminator: Genisys è chiaro a questo punto e si fonda sulla riscrittura del passato per una completa libertà nella creazione di un nuovo futuro. Tutto quello che abbiamo visto in quattro film e in due stagioni della serie tv The Sarah Connor Chronicles viene messo in discussione e l’universo creato da Cameron si apre così a numerosi nuovi sviluppi. In questo senso, Genisys è un’operazione estremamente interessante perché gioca in maniera intelligente con la saga nota e si pone come una sorta di anomalo reboot.
In questa avventura troviamo per lo più personaggi noti. In primis John Connor, interpretato da Jason Clarke, autoritario e consapevole del proprio status di leader vittorioso, mai così convincente dai tempi di Terminator 2. Ma stanchi di vedere il leader della Resistenza imprigionato in un ruolo che porta a un destino che già conosciamo, in Genisys si punta all’originalità con un espediente che dona nuova linfa al personaggio. Un lavoro simile è fatto con Sarah Connor, che qui non ha più le fattezze di Linda Hamilton bensì della “Madre dei Draghi” Emilia Clarke, intrappolata nel suo aspetto giovanile del 1984 ma con lo spirito battagliero che il personaggio aveva in Terminator 2. Kyle Reese, che qui è interpretato da Jai Courtney (Die Hard – Un buon giorno per morire), ha subito un radicale ringiovanimento e metamorfosi estetica che lo rende più vicino allo standard del moderno eroe d’azione. Per certi aspetti è il personaggio che soddisfa meno perché più diverso dal prototipo di Michael Biehn, ma avulso dal ciò funziona come protagonista incredulo degli eventi che si susseguono. Infatti è lui il vero personaggio principale, l’occhio dello spettatore, convinto che gli eventi andranno in un determinato modo e poi messo dinnanzi a stravolgimenti che lo colgono impreparato. Unico personaggio inedito (o quasi, visto che in una particina c’era anche nel film di Cameron) è l’ex agente di polizia che sopravvive ai fatti del 1984 e ritroviamo nel 2017, consapevole di ciò che sta accadendo. A dargli volto il sempre ottimo J.K. Simmons, ma il personaggio, in fin dei conti, quasi irrilevante.
Poi c’è lui, Arnold Schwarzenegger, tornato finalmente elemento principale della vicenda e mostrato in tre diversi stadi di invecchiamento (perché qui ci spiegano che la tecnologia T-800 è realizzata con tessuto umano, quindi incline all’invecchiamento): c’è la versione 1984, che è un modello digitalizzato (ottimamente) dello Schwarzy anni 80, la versione invecchiata 2017 e la versione anni 90 che agisce nel 1984 al fianco di Sarah Connor. Il ruolo del Terminator è simile a quello che aveva avuto in Terminator 2, ovvero di guardia del corpo e figura paterna (Sarah lo chiama addirittura Papà!), con quella dose di (auto) ironia che ormai è elemento fondamentale del personaggio.
Ma Alan Taylor non si fa mancare nulla e abbiamo perfino un T-1000, interpretato da Lee Byung-hun, che si presenta nelle movenze identico a quello che ricordavamo con il volto di Robert Patrick in Terminator 2.
Con una massiccia dose d’azione molto spettacolare, che però non va mai a discapito della complessa costruzione narrativa del film, Terminator: Genisys è un centro su tutta la linea, un graditissimo ritorno che dona nuova linfa e interessanti prospettive future alla saga e, soprattutto, strizza l’occhi allo spettatore fan come mai era accaduto prima.
Roberto Giacomelli
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