The Congress, la recensione

Dal 5 giugno arriva nei cinema italiani grazie alla Wider Films la nuova opera di Ari Folman, The Congress.

Israeliano, documentarista e animatore, Folman si è fatto conoscere dal grande pubblico nel 2008 con il bellissimo Valzer con Bashir, film d’animazione dal grande impatto civile che si è guadagnato la nomination come miglior film straniero agli Academy Awards. Oggi Folman torna con un misto di animazione e live action, affrontando temi di una certa originalità e cimentandosi con il genere fantascientifico. Lo spunto di tutto è Il Congresso di futurologia, romanzo di Stanislaw Lem che puntava il dito contro la frammentazione della vita e l’assuefazione ai propri desideri.

Folman, che riscrive completamente il plot tenendo solo la riduzione a formula chimica dell’individualità e una breve scena al Congresso, ha la geniale intuizione di affrontare l’argomento dal punto di vista di Hollywood e della macchina filmica.

In The Congress la protagonista è l’attrice Robin Wright che interpreta se stessa. Ormai lontana dalla fama raggiunta negli anni ’90, quando interpretava Jenny in Forrest Gump, la donna viene contattata dai vertici della Miramount per essere scansionata con una rivoluzionaria tecnologia e cedere la sua immagine in esclusiva allo Studio dietro lauto pagamento. Unica condizione: si dovrà ritirare definitivamente a vita privata. Inizialmente contraria, Robin accetta dietro consiglio del suo agente e desiderosa di dedicare anima e corpo alla cura di suo figlio, affetto da una malattia degenerativa della vista e dell’udito.

Passano 20 anni e, a contratto ormai scaduto, Robin viene nuovamente contattata dallo Studio che stavolta le chiede di essere trasformata in una formula chimica. Intrappolata in un artificio percettivo che la fa apparire come un cartone animato, Robin si ritrova nel bel mezzo di una rivoluzione.

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The Congress parte in maniera fantastica. È un film che gioca con il Cinema, ne fa satira, aizzando venti di tempesta contro la tendenza contemporanea a sostituire l’attore in carne ed ossa con un “avatar” in computer grafica. Tendenze come la motion capture diventano la rivoluzionaria tecnologia che la Miramount (Miramax + Paramount?) sta attuando su alcuni suoi attori: cedere ogni diritto d’immagine restituendo una scansione completa della propria figura. In cambio la certezza che si rimarrà per sempre giovani e aitanti. Il mito dell’immortalità diviene così realtà, il Cinema porta tutto ciò a una fase successiva, anche se il punto di vista di Folman è chiaramente critico. Basti vedere il modo viscido con cui è rappresentato il direttore della Miramount, interpretato da Danny Houston, e il controverso eterno divismo a cui sono sottoposte le star di Hollywood.

In mezzo a tutto ciò, o meglio, oltre a tutto ciò, Folman si ricorda del romanzo di Lem e nel momento in cui deve agganciarsi al preesistente comincia una discesa verso il baratro. La fantasia e l’originalità della prima parte del film (quella live action) cede il passo a un manierismo distopico confuso e poco convinto, in cui il concetto di sintetizzazione chimica dell’attore rimane quasi su un piano astratto. A metter su un peso da 90 è la volontà, decisamente gratuita, di voler inserire nel film una consistente tranche in animazione. Questo espediente non è amalgamato al contesto in maniera naturale e sa di orpello artistico dettato più da una “fissa” del regista che non da reali esigenze narrative.

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Visivamente parlando, con quell’animazione così retrò che spinge il pedale sul surrealismo e la psichedelia, The Congress è bellissimo ma Folman non è riuscito a trovare una giusta sintesi tra i due linguaggi che ha voluto utilizzare. Anche la durata di oltre 2 ore non aiuta a digerire un film che crea delle ottime aspettative che però non riesce a mantenere fino in fondo.

Nel cast, oltre alla Wright e a Huston, ci sono Harvey Keitel e Paul Giamatti.

Ci si chiede perché, in un Paese come l’Italia che tende spesso a rititolare i film stranieri, stavolta abbia deciso di tenere immutato un titolo che non invoglia di certo alla visione e non rende affatto l’idea di cosa si sta per vedere.

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • I primi 40 minuti sono originali e interessanti per il modo in cui trattano il tema metacinematografico.
  • Visivamente è un film molto bello.
  • Il corposo innesto d’animazione è poco amalgamato con il contesto.
  • L’interessante tematica del divismo è presto abbandonata.
  • L’idea del romanzo d’origine è trattata con troppa superficialità.
  • Dura troppo.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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