The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono, la recensione

L’America non è stata fatta dagli americani. Questo, oggi, ci sembra quantomai ovvio ma spesso, quando guardiamo un film statunitense, la percezione delle origini del popolo passa in secondo piano, un popolo che è diventato “altro” sia in confronto ai propri progenitori, sia in confronto a coloro ai quali hanno di fatto portato via la Terra. E in un film western l’animo “yankee” è sempre molto presente, un passato che è fondamentalmente specchio del presente e come ogni presente riflette situazioni mutevoli. Perché anche oggi, come allora, l’America non è fatta di (soli) americani.
In The Dead Don’t Hurt siamo nel selvaggio West ma i protagonisti sono una fioraia francese naturalizzata canadese e un cowboy danese, testimoni del melting pot da cui gli Stati Uniti sono nati e sul quale si sviluppano ancora oggi, ma la nazionalità dei protagonisti ha un peso particolare su tutto il film perché ne stabilisce i confini immaginifici.
The Dead Don’t Hurt, infatti, si apre con un cavaliere bardato da un’armatura e con in pugno una spada che si fa largo a cavallo tra gli alberi e, a più riprese, re-immagina – attraverso la fantasia di una bambina – le avventure di Giovanna d’Arco. Ed è proprio insinuando in un racconto western classico che più classico non si può queste audaci concessioni multiculturali che Viggo Mortensen trova la quadratura del cerchio nella sua visione di uno dei generi più tipici dell’industria cinematografica americana. Lui che è newyorkese di nascita ma ha origini paterne danesi, non si sottrae a infondere anche un tocco nordeuropeo al racconto e al suo personaggio, rigoroso, gentile, a tratti anche un po’ troppo algido, sicuramente non il cowboy rude e violento a cui la tradizione del genere ci ha abituato. Ma questa visione educata e civile fornita dallo sceriffo e soldato Holger Olsen si estende all’intero lungometraggio, che Mortensen ha scritto, diretto e interpretato occupandosi anche della colonna sonora.
Strutturata su tre piani temporali differenti, la storia di The Dead Don’t Hurt ci racconta la vicenda di Vivienne Le Coudy, canadese figlia di immigrati francesi che cerca di cavarsela come fioraia in un villaggio dell’America dell’Ovest. Qui rifiuta le avances di un giovane e dispotico borghese della zona e si innamora dell’affabile Holger, ex-soldato danese che decide di mettere su casa insieme a lei. Ma Holger sente il richiamo della sua morale militare e si arruola tra le fila dei nordisti lasciando sola Vivienne che, oltre a reinventarsi come banchista del saloon, deve scansare le attenzioni di Weston Jeffries, figlio criminale della famiglia più importante della città.
In più lidi The Dead Don’t Hurt è stato definito un western femminista, una definizione oggi abusata e fuorviante soprattutto quando hai una donna come protagonista. In realtà The Dead Don’t Hurt è un western parzialmente al femminile ma chiaramente filtrato dall’ottica maschile che riflette con grande coerenza sul ruolo che la donna aveva in quel luogo e in quell’epoca. Il parallelismo che viene condotto con la Pulzella d’Orleans, eroina dell’infanzia di Vivienne, non è di certo casuale con la grande differenza che Vivienne non si batte, non si fa condottiera, ma cerca solo di vivere e sopravvivere in un ambiente ostile tenendo un basso profilo.
La vendetta, infatti, è lasciata all’uomo, così come ogni scontro fisico. La “rivoluzione”, se vogliamo, sta proprio nel personaggio di Holger che è lontanissimo dal prototipo del cowboy a cui il cinema americano ci abituato: non conosciamo e non vediamo la sua condotta sul campo di battaglia, anche se ne intuiamo da subito la morale, ma vediamo chiaramente qual è la sua etica quando si trova faccia a faccia col nemico, sicuramente antitetica al machismo dilagante nel western, di cui invece è chiaro rappresentate l’assassino psicopatico Weston Jeffries.
Viggo Mortensen, che ha un volto scolpito appositamente per il western, è ovviamente Holger, un cowboy romantico che oggi definiremmo d’altri tempi (ma che, in quest’ottica western, stonerebbe non poco!), sicuramente un protagonista anomalo, ma a catturare l’attenzione è senza ombra di dubbio Vivienne, vera protagonista della vicenda, che ha i lineamenti delicati della lussemburghese Vicky Krieps (Il filo nascosto, Old, I Tre Moschettieri). Il film inizia con la morte di Vivienne, ma a differenza di Viale del tramonto e American Beauty, la sua ci appare come una liberazione e scoprire come siamo arrivati a quella tragica situazione non sembra avere troppa importanza.
Quel che manca al film di Mortensen è un po’ di sana azione che ci ricorda che siamo sempre e comunque nel Selvaggio West. The Dead Don’t Hurt è un film molto, troppo posato e anche quando si avvia verso la direzione dello scontro fisico decide di rallentare o virare improvvisamente altrove. In fin dei conti tutto il film ammette la sua posizione che è quella di seguire la donna che attende a casa e non l’uomo che combatte in guerra.
Dopo essere stato presentato al Toronto International Film Festival nel 2023, The Dead Don’t Hurt ha avuto la sua anteprima italiana nel corso della 19ª edizione della Festa del Cinema di Roma, anticipando di pochi giorni l’uscita in sala, il 24 ottobre con Movies Inspired.
Roberto Giacomelli
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