The Munsters – I Mostri: recensione e approfondimento sull’ultimo folle film di Rob Zombie

La nuova versione di The Munsters arriva finalmente anche in Italia. Parliamo naturalmente dell’ultima fatica di Rob Zombie saltata fuori di recente nel circuito streaming con il titolo I Mostri, in acquisto e noleggio su piattaforme come Amazon Prime Video ed Apple TV. Laddove il finalmente sta a sottolineare un percorso distributivo non proprio linearissimo.

Il progetto (che anni addietro era stato associato per diverso tempo ai fratelli Wayans) inizialmente viene pensato come possibile destinazione cinematografica per poi essere dirottato direttamente in streaming e home video, d’altronde a produrlo è la Universal 1440 Entertainment ovvero la label dedicata al DTV di proprietà della major. Con Netflix in prima linea ad aggiudicarsi una fetta importante dei diritti di distribuzione, per un debutto avvenuto lo scorso 27 settembre sia in patria che in diversi altri paesi. Paesi tra cui sembrava ci potesse essere anche il nostro, lasciando invece a bocca asciutta i fan italiani che si aspettavano di trovarlo online in quella stessa data. Da allora silenzio, fino all’inizio del 2023 quando il film spunta un po’ a sorpresa nelle library della concorrenza.

Odissea distributiva che insieme ad una media dei commenti non esattamente lusinghiera, ha alimentato ulteriormente la nostra curiosità nei confronti di un progetto che per tono ed impostazione sembrava oggettivamente distante da quanto fatto da Rob Zombie in carriera in precedenza – non a caso è il primo a non essere rated R. Che non vuol dire non potesse essere nelle sue corde, ma di questo parleremo tra poco.

In apertura ho parlato di nuova versione, considerando che The Munsters 2022 è una sorta di reboot della celebre sit-com omonima degli anni ’60 (che in Italia era arrivata come I Mostri) di cui si pone come prequel. Un vero e proprio atto d’amore quello di Zombie, nei confronti di un prodotto che fin dalla sua infanzia occupa un posto speciale nel suo cuore. Basterebbe fare qualche esempio, come l’episodio Hot Rod Herman (stagione 1, episodio 36) che compare brevemente alla tv in una scena de La Casa dei 1000 Corpi, primo lungometraggio del regista; in quell’episodio, Grandpa costruiva un roadster chiamato Drag-u-la, nome che darà il titolo al singolo di debutto musicale del Rob cantautore nel 1998. Inutile dirvi che nel nuovo The Munsters c’è un riferimento al look di Herman di quell’episodio, qualcuno si aspettava anche la presenza del Drag-u-la ma nel rispetto della linea temporale risulta coerente che non ci sia.

RISPOLVERANDO I MOSTRI

Se, parlando in generale, contestualizzare aiuta sempre a sviluppare un giudizio più centrato, viene da sé che in questo caso può servire molto più di altre volte. E allora facciamo un passo indietro, giusto per favorire proprio la contestualizzazione a chi magari conosce meno la serie originale. Un franchise di cui, d’ora in avanti, parlerò esclusivamente come The Munsters, che suona decisamente meglio del nostrano I Mostri che perdeva il senso/giochino del cognome storpiato – che, per questa ragione, in una delle diverse versioni arrivate in Italia veniva modificato in De Mostri.

The Munsters, appunto, è una sit-com andata in onda negli Stati Uniti per due stagioni, dal 1964 al 1966, trasmessa da CBS. Se parlandone vi viene in mente la coeva The Addams Family (che intanto andava in onda su ABC), sappiate che il parallelo è assolutamente pertinente e mi aiuta ad introdurre meglio l’argomento. Le due serie considerate rivali avevano evidentemente tantissimo in comune, probabilmente più di ogni altra coppia di prodotti televisivi che siano mai andati in competizione tra loro. Una rivalità che, per inciso, non ha impedito a nessuna delle due di ottenere un meritato status di cult. L’ambientazione orrorifica in primis, che ospita le vicende di una famiglia sui generis sia per aspetto che per usi e costumi, che vive tranquillamente la propria stravagante vita all’interno della società contemporanea.

The Munsters – La serie originale CBS

Gli Addams arrivano sul piccolo schermo degli americani il 18 settembre del 1964, i Munsters sei giorni dopo; vista la contemporaneità della messa in onda e, di conseguenza, della fase produttiva verrebbe difficile stabilire chi abbia copiato chi, per quanto una coincidenza risulterebbe assurdamente fortuita. La verità è che del progetto sui Munsters si ragionava già da tempo, ma fu la notizia della produzione de La Famiglia Addams a mettere in moto lo studio rivale; la serie della ABC nasceva come trasposizione delle famose vignette di Charlie Addams (nate addirittura nel 1938), una fonte da cui era chiaramente possibile prevedere il tono e lo stile di una versione televisiva, motivo che spinse la CBS a fare altrettanto sfruttando una property come i mostri classici della Universal.

Un bacino di personaggi di pregio, quello della Universal, da cui poter attingere per delineare i personaggi della famiglia che per un biennio avrebbe gareggiato con gli Addams per la supremazia degli ascolti televisivi. È così che il mostro di Frankenstein diventa Herman Munster, il capofamiglia, interpretato da Fred Gwynne, mentre Yvonne De Carlo veste i panni di sua moglie Lily, una vampira che nell’aspetto riprende la ciocca bianca tipica della sposa di Frankenstein; Al Lewis è Grandpa, il nonno, un vampiro caratterizzato dal look classico del Dracula di Bela Lugosi, il piccolo Eddie è un lupo mannaro la cui parte va al giovane Butch Patrick. Completa il quadro la nipote Marilyn, che vede l’avvicendamento tra Beverly Owen (che abbandona la serie dopo 13 episodi) e Pat Priest, unica dall’aspetto normale volutamente in contrasto col resto della famiglia, che ribalta la prospettiva della ‘normalità’ mettendo in moto un intelligente meccanismo del diverso che cambia a seconda del contesto in cui lo si guarda – uno dei temi portanti del telefilm.

Nel corso della serie non mancano partecipazioni di altre creature, come l’Uomo Lupo ed il Mostro della Laguna Nera.

La dolce vita… non piace ai Mostri!

Il make-up, quindi, era il primo di diversi punti a favore, tra cui inserire obbligatoriamente l’aspetto scenografico di una casa, quella di Mockingbird Lane 1313, tanto grande quanto simpaticamente creepy. Un drago di nome Spot nel sottoscala, ragnatele, pipistrelli, passaggi segreti, camera delle torture ed altre simpatiche cosette frutto di un lavoro programmato e certosino di production design. Così come l’insieme di trovate frutto di effetti speciali che facevano della semplicità e della praticità il loro punto di forza. Un contesto ideale in cui ambientare una sit-com incentrata su equivoci, ironia, abitudini sinistramente pittoresche, le disavventure di turno che raccontano il nostro mondo visto dagli occhi dei ‘mostri’ che probabilmente svelano chi siano i mostri veri.

La serie riscosse un buon successo, non sufficiente però ad impedire la cancellazione dopo due stagioni da 70 episodi complessivi. Ma le successive repliche iniziarono ad alimentare un seguito ed una reputazione capaci di resistere ancora oggi e che hanno portato a diverse incarnazioni successive. A partire da Munster, Go Home! (da noi arrivato col titolo un po’ scemo La Dolce Vita… Non Piace ai Mostri) lungometraggio a colori del 1966, che si pone come una sorta di appendice della serie originale appena conclusasi da cui riprende quasi tutto il cast originale ad eccezione di Pat Priest rimpiazzata da Debbie Watson. Nel 1973 è la volta di The Mini-Munsters, speciale animato di un’ora in cui Al Lewis è l’unico del cast originale a prestarsi come doppiatore. Si passa al 1981, anno di The Munster’s Revenge, film per la tv in cui Gwynne, De Carlo e Lewis riprendono il ruolo per l’ultima volta. Anni ’80 che portano ad un remake, The Munsters Today (I Mostri Vent’anni dopo), nuova serie con un nuovo cast, andata in onda per tre stagioni dal 1988 al 1991. Seguiranno altri due film destinati al circuito televisivo con un cast nuovamente rinnovato (doppiamente, visto che cambia persino da un film all’altro, nonostante siano usciti a distanza di appena un anno), Here come the Munsters del 1995 (che include un cameo di De Carlo, Lewis, Patrick e Priest – Gwynne era scomparso due anni prima) e The Munsters’ Scary Little Christmas del 1996. Per poi concedersi una pausa di 16 anni prima di Mockinbird Lane del 2012, uno special televisivo che propone una rivisitazione dark della celebre sit-com, pensato come potenziale pilot di una nuova serie che NBC deciderà di non produrre.

The Munsters: Hot Rod Herman

Prima di parlarvi (finalmente) dell’ultima freschissima reincarnazione, volevo tornare brevemente sul dualismo con gli Addams e chiudere con una contestualizzazione nella contestualizzazione. È risaputo che tantissime serie americane siano arrivate in Italia tempo dopo la loro messa in onda originale, spesso persino direttamente dopo la loro chiusura. The Munsters e La Famiglia Addams sono tra queste, arrivate nel nostro paese (la prima volta) tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ’70. Ho specificato ‘prima volta’, perché col boom della tv commerciale e delle reti private negli anni ’80 la cosa più naturale da fare per riempire i palinsesti era pescare nell’immenso calderone di telefilm americani. Tra cui, neanche a dirlo, il dittico in questione. Motivo per cui è ideologicamente corretto collocare queste serie, come altre, tra i ricordi di chi in quel decennio ci è cresciuto. Come me, che da ragazzino attratto dall’horror avevo finito per innamorarmi di entrambe, di quella spooky comedy che sembrava una commistione fatta apposta per me. Motivo per cui ho accolto con entusiasmo, dopo anni di attesa, i due cofanetti dvd della Sinister che includono la serie originale completa e i due lungometraggi ad essa collegati. Oltre ad attendere con altrettanta curiosità questa nuova versione targata Rob Zombie.

LA VERSIONE DI ZOMBIE

Ed è qui che entra in ballo il discorso del contestualizzare di cui sopra. Non che io voglia convincere qualcuno, tantomeno gli scettici e coloro a cui può aver fatto legittimamente schifo. Ma trovo che aiuti a cogliere e comprendere meglio, molto più di altre volte, lo spirito che anima il progetto.

Con The Munsters Rob Zombie concretizza un sogno personale, se ne frega del compromesso, realizzando un film fuori da ogni logica commerciale e di pubblico. Un film romanticamente fuori dal nostro tempo. Che aveva come unico scopo quello di rendere omaggio al passato, al prodotto originale, parlando principalmente allo spettatore che lo apprezzava e lo apprezza. Riprendendo, se possibile, la tematica della presunta diversità/normalità che dipendono esclusivamente dal punto di vista da cui si guardano le cose.

Era prevedibile venisse massacrato, nell’epoca del ‘cringe’ come definizione per tutto ciò che non ci appartiene (termine che, insieme a tanti altri, per quanto mi riguarda andrebbe abolito dal giudizio cinematografico). Quello che sembra sgraziato, indice di presunta incompetenza, è in realtà una precisa e mirata impronta stilistica. Zombie ricostruisce scrupolosamente il mood della sit-com originale di cui riprende pure le transizioni in fase di montaggio. Andando a curare i singoli dettagli, i particolari, le sfumature. E quando il film switcha sul bianco e nero andando a riproporre la sigla originale shot-by-shot, un brividino di nostalgia finisce inevitabilmente per correre lungo la schiena del fan più romantico.

The Munsters è un prodotto pregno di passione, e questo credo sia un dato innegabile a prescindere da quale possa essere la vostra opinione sul risultato finale. Il regista non manca di mostrare le proprie abilità visive, frangenti di ispirazione, persino psichedelia funzionale al tono generale, una gestione dei colori volutamente accentuata ed illuminata in modo che i personaggi appaiano quasi come cartoni animati. Era un progetto in cui Zombie aveva tutto da perdere e, credetemi, poteva andare decisamente peggio.

Personalmente ho fatto un test più o meno involontario, ho visto il film col più grande dei miei figli (8 anni) che qualche mese fa aveva visto con me qualche episodio della serie originale. A fine visione era soddisfatto, ed anche divertito dal cogliere riferimenti a quel prototipo in bianco e nero che ai suoi occhi differiva soltanto cromaticamente. E questo credo sia un grosso merito per il The Munsters targato Rob Zombie, quello di riportare idealmente alla fonte. Perché, di fatto, la versione 2022 fa affidamento sulla stessa formula degli anni ’60, umorismo e gag semplici all’interno di una cornice orrorificamente buffa che diventa colonna portante della visione. Tenendo sempre a mente il target familiare di riferimento, bambini compresi. Con questo non dico che il film sia perfetto o esente da difetti, quanto piuttosto che andrebbe visto (e magari apprezzato) per quello che realmente è.

Difetti, dicevo. È chiaro che una durata ambiziosa come 110 minuti necessiti di qualcosa che non solo la giustifichi, ma la alimenti. Voglio dire, la stessa semplicità delle gag ha un senso nel prenderle singolarmente, ma da sola non può reggere (almeno non sempre) un minutaggio così corposo. Il che mi porta a spostarmi in ambito sceneggiatura che avrebbe avuto bisogno di qualche snodo più articolato.

Il prequel ci racconta della vita dei nostri mostruosi amici in Transilvania, quindi nella fase che precede il loro arrivo negli Stati Uniti (al centro della sit-com originale), il motivo dell’abbandono della terra natìa, la genesi della love story tra Herman e Lily (oltre che di Herman stesso). Una scelta che ci sta tutta. Ma che forse avrebbe reso di più attraverso una scrittura maggiormente sviluppata, fornire una mission ai protagonisti da completare nell’arco narrativo, che poteva essere il raggiro del castello o il rapporto inizialmente conflittuale tra Herman e Grandpa. Il budget non entusiasmante incide di tanto in tanto su una resa complessiva a cui si può comunque dare atto di tenere botta – budget che aveva portato la produzione ad optare strategicamente per una trasferta in Ungheria, scelta come luogo delle riprese per costi vantaggiosi ed agevolazioni fiscali.

Ma torniamo alle cose belle. Come la già citata cura di dettagli e particolari, in cui si inserisce un gradevolissimo impianto citazionistico da sempre nelle corde di Rob Zombie, figuriamoci ora. Al vasto repertorio della serie originale, si aggiungono elementi di quell’horror del passato tanto caro al regista; all’interno di un impianto scenografico a tema che non lesina in elementi piacevolmente sinistri.

Il film si apre sul logo vintage della Universal, nel prologo vediamo il Dottor Wolfgang di Richard Brake insieme a Floop, il suo assistente gobbo che ha il volto di Jorge Garcia, intenti a dissotterrare cadaveri per reperire pezzi da assemblare in un fantomatico esperimento maryshelleyniano – con Floop che sbaglia cervello (quello di un certo Rathbone, come Basil), perché un riferimento a Mel Brooks ed il suo Frankenstein Junior ci sta sempre bene. Brake che interpreta (sotto adeguato make-up) anche Orlock, spasimante di Lily che esibisce un look alla Nosferatu. È presente Lester, fratello licantropo di Lily che nell’aspetto riporta a Lon Chaney Jr, rivediamo il cugino Mostro della Laguna Nera (con contorno di poster della trilogia originale Universal), c’è un personaggio di nome Bela che rimanda al “Bela the gipsy” interpretato da Bela Lugosi ne L’Uomo Lupo del 1941. In più momenti Herman indossa un pellicciotto, outfit simile a quello di Boris Karloff ne Il Figlio di Frankenstein del 1939, in una scena finale urla – spaventato dal vicinato – “Car 54, where are you?”, come il titolo dello show televisivo del 1961 a cui avevano partecipato Fred Gwynne ed Al Lewis, per un siparietto che era già avvenuto in Munster, Go Home! del 1966.

In tv compare il personaggio di Zombo apparso in un episodio degli anni ’60 in cui era l’idolo del piccolo Eddie, mentre quello di Ezra Mosher è un omaggio a Bob Mosher che dello show originale era stato autore e produttore. Vengono mostrati spezzoni di Gianni e Pinotto contro il Dottor Jekyll, non mancano zombie e mummie (oltre a quella originale del 1932 mostrata in un altro filmato televisivo). Viene fornito un background al drago domestico Spot ed al pipistrello Igor, che per l’occasione ha ancora le sembianze umane di Sylvester McCoy che ovviamente (per chi conosce i trascorsi di Zombie) non è l’unica partecipazione da menzionare in un cast di supporto che include Catherine Schell nel ruolo di Zoya (ex moglie – vendicativa – di Grandpa) e Cassandra ‘Elvira’ Peterson in quello di una venditrice di case che per Halloween si traveste da strega, oltre a Dee Wallace che dona la voce all’annunciatrice di Good Morning Transylvania (lei che aveva preso parte ad Here Comes the Munsters del 1995). Ultimi ma evidentemente non ultimi, gli unici membri del cast originale ancora in vita, vale a dire Butch Patrick e Pat Priest che fanno un cameo vocale rispettivamente nel ruolo dell’Uomo di Latta e dell’annunciatrice della Transylvania Airlines – presumo che il motivo di una partecipazione esclusivamente vocale e non fisica sia dovuta alla location ungherese troppo distante per un semplice e fugace cameo.

Nel discorso di minuziosa ricostruzione possiamo collocare anche le interpretazioni dei tre protagonisti che riprendono mimica e gestualità dei personaggi originali. Jeff Daniel Phillips (che interpreta anche Zombo e Shecky Von Rathbone) per il suo Herman ricorre spesso alle smorfie ed alla risatona sguaiata della versione di Gwynne, a vestire i panni di Grandpa (e brevemente quelli di Ezra Mosher) è Daniel Roebuck che della serie era un vero fan al punto da farsi autografare una bambola di Herman da Fred Gwynne (con cui aveva lavorato sul set di Disorganized Crime del 1989) ed arrivare a conoscere tramite amicizie comuni quell’Al Lewis che interpretava proprio il nonno. Ma in particolare è la spesso bistrattata Sheri Moon – come il marito, grande fan della serie – a dimostrare di aver studiato attentamente le movenze di Yvonne De Carlo in modo da risultare una Lily all’altezza della situazione, lei che nel film interpreta anche il piccolo ruolo di Donna Doomley.

The Munsters è un film coraggioso, commercialmente incosciente, difficilmente collocabile nel panorama dei meccanismi odierni. Magari non per tutti, come del resto può apparire oggi la sit-com originale. Senz’altro imperfetto, migliorabile, ma gradevole nel suo proporsi come sentito atto d’amore, di fedeltà al prototipo, pieno di passione e nostalgia per un passato che non c’è più. Molti vi parleranno di un Rob Zombie perduto e irriconoscibile, a me sembra invece che ci sia ancora cognizione di causa, stile personale, trasporto per il proprio mestiere, rifiuto del compromesso.

Francesco Chello

PRO CONTRO
  • La percezione di un atto d’amore sincero e appassionato.
  • Fedeltà e aderenza al mood della serie originale.
  • Cura certosina di dettagli e particolari.
  • Sceneggiatura poco articolata.
  • Budget che talvolta incide sulla resa.
  • Durata un po’ troppo corposa.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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The Munsters - I Mostri: recensione e approfondimento sull'ultimo folle film di Rob Zombie, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

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