Un viaggio indimenticabile, la recensione

Ci sono viaggi indimenticabili, amori indimenticabili, giornate indimenticabili. Poi, da una parte, ci sono i film indimenticabili e, dall’altra, c’è il dimenticabilissimo Un viaggio indimenticabile, in originale Head full of Honey.

La storia è quella di Amadeus (Nick Nolte), ex veterinario, settantaseienne, da poco rimasto vedovo, la cui forte personalità, fascino ed umorismo non sono sufficienti a mascherare i devastanti sintomi dell’Alzheimer. Non essendo più in grado di vivere da solo, si trasferisce a Londra, dal figlio Nick (Matt Dillon) che vive con sua moglie Sarah (Emily Mortimer) e la figlia di 10 anni, Tilda (Sophia Lane Nolte, figlia di Nick Nolte). Nonostante lo sconvolgimento e il caos derivato dall’arrivo di Amadeus in un clima familiare già teso, tra nonno e nipotina si instaura un legame speciale.

La parola caos è un po’ un eufemismo. Parliamo di situazioni al limite. Il nonno manda a fuoco la cucina, fa a pezzi il giardino, fucila invitati e fa pipì nel frigo scambiandolo per il water. Tilda ha pazienza e affetto nei confronti del nonno e quando lui esprime il desiderio di rivisitare i luoghi dei suoi ricordi più belli, prende una decisione coraggiosa. Fugge di casa e porta il nonno a Venezia, città del suo viaggio di nozze.

Questo per Venezia è il viaggio indimenticabile e al contempo, capolavoro di implausibilità, che dà il titolo al film scritto e diretto da Til Schweiger, attore e regista tedesco, che presenta questo remake in chiave hollywoodiana del suo successo di box office, in Germania, Honig im Kopf.

Tutti questi elementi potevano funzionare e invece, purtroppo, mixati, non convincono. Il delicato tema dell’Alzheimer, non certo originale nel mondo del cinema, è trattato con sensibilità e particolare empatia, questo è vero, ma a tratti è toccato anche con profonda mancanza di rispetto. Si vuole sottolineare l’importanza degli affetti familiari e ciò che provoca in casa la presenza di un caro, affetto da questa malattia, ma tutto è troppo sopra le righe. La malattia è raccontata in chiave favolistica. La storia si svolge ai giorni nostri, ma sembra ambientata inspiegabilmente in un tempo “vintage”. Colori caramello e costumi della prima metà del ‘900. Bretelle e cappelli. Tilda sembra abbigliata come Pippi Calzelunghe senza alcun motivo plausibile. Perché? Non è chiaro.

Quindi la domanda è la seguente: che tono sceglie di assumere questa favola? La risposta è che qualsiasi tono tenta di prediligere è quello sbagliato. Vuole essere provocatoria? Non ci riesce. Vuole essere una favola retrò? Non lo è. Vorrebbe prendere con ironia la malattia del nonno? Esagera.

In Un viaggio indimenticabile l’Alzheimer evolve in gag che lasciano lo spettatore con lo stato d’animo altalenante tra avversione e disagio. Attenzione, nulla di male a trovare il lato umoristico in questa tragica malattia che offre, per sua stessa natura, spunti surreali, ma qui manca il senso della misura.

Emily Mortimer e Matt Dillon interpretano un’incomprensibile coppia di inetti. Un padre e una madre che mettono ripetutamente in pericolo l’incolumità di nonno e nipotine. I due intraprendono una serie di scelte scriteriate capaci di provocare situazioni improbabili e poco coerenti con la realtà di una malattia, che richiede costante presenza e attenzione. Invece di far assistere questo nonno, completamente allo sbaraglio, lo lasciano solo per tutto il giorno tra armi da fuoco e rischi per se stesso, per la loro stessa casa e per la loro adorata figlioletta. Non c’è l’ombra di una badante o di un assistente sanitario. La verità è che non se ne comprende il motivo di tutte queste scelte scellerate dei due coniugi.

Sorvolando sulla storia in se, che gestita in altro modo, con accorgimenti differenti, sarebbe potuta risultare anche piacevole e delicata, è proprio la grammatica del linguaggio filmico in se che lascia a desiderare. Non manca niente all’appello: musica invasiva, melensa e scollata dalle immagini, continui primi piani ingiustificati, scelte di editing disarmoniche, immagini stereotipate degli italiani.

Ma, come diceva Roberto Benigni, in suo famigerato monologo teatrale Tuttobenigni 95/96 “anche il mostro di Firenze avrà detto buon giorno a qualcuno, qualche volta!”.

Nick Nolte e sua figlia Sophia si salvano e offrono un’ottima interpretazione di due personaggi scritti in modo irresponsabile. I due Nolte, incarnano credibilmente un anziano affetto da una malattia che gli sgretola l’esistenza e una bambina con sentimenti d’altri tempi, che ama immensamente suo nonno, fino a rischiare la vita per lui. Con una camminata sghemba e lo sguardo vuoto, Nick Nolte, riesce a raccontare dignitosamente un uomo smarrito che sente la sua testa “piena di miele”. Con un buon film cucito attorno, Nolte, avrebbe potuto quasi quasi ambire ad una candidatura agli Oscar. Peccato!

Presentato e distribuito da Warner Bros. Picture e prodotto da Barefoof Films e Warner Bros. Film, Un viaggio indimenticabile, sarà nelle sale italiane dal 21 marzo.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • L’interpretazione di Nick Nolte.
  • La volontà di raccontare una malattia difficile.
  • Tutte le scelte legate alla grammatica cinematografica.
  • L’ennesima messa in scena di stereotipi sugli italiani.
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