Unfriended, la recensione
Con Unfriended siamo a un sostanziale punto di non ritorno per il genere horror.
Negli ultimi anni abbiamo visto proliferare l’utilizzo dello stile mockumentary nelle sue più svariate accezioni, in particolare il found-footage. Una tecnica che serve a contenere (di molto) i budget e creare una particolare immersività e partecipazione dello spettatore. Questa tecnica possiede implicitamente anche un’esaltazione della tecnologia perché è il protagonista stesso della vicenda a diventare occhio e conduttore grazie al suo utilizzo di strumentazioni tecnologiche, che, per lo più, si traducono in comode e maneggevoli handycam. Tutto ciò è arrivato palesemente al collasso: una tale sovraesposizione e utilizzo intensivo di questo modus operandi/narrandi da far diventare questa tecnica di routine.
Per svecchiare il “filone” si è deciso quindi di andare oltre, di fare un’operazione virata in questa direzione così estrema da spingere in due possibili direzioni (qualora si traducesse in successo commerciale): aprire una nuova frontiera del POV, con successivo sdoganamento di questo linguaggio “estremo”, oppure pietra tombale per il filone.
Ma di cosa parliamo nello specifico? Unfriended è un film interamente costruito con immagini del pc, un patchwork di filmati che provengono dal flusso internet a cui oggi tutti siamo quotidianamente esposti. Non immaginate, dunque, un film tradizionale in cui ci sono attori che interagiscono in uno spazio, movimenti di camera, montaggio, cambio d’inquadratura e locations differenti. Tutto ciò accade ma in maniera inusuale perchè, dall’inizio alla fine, noi siamo gli occhi della protagonista che fissa il monitor di un pc e con lei partecipiamo alle sue conversazioni su Skype, alle sue scelte musicali su iTunes, alle sue sessioni di navigazione su Facebook e alle sue scelte video su YouTube.
Questo insolito mix di consumi tecnologici va a fare da contesto narrativo a un plot che – non poteva essere altrimenti – utilizza il mezzo informatico come via preferenziale per il diffondersi della minaccia. Con un’eco piuttosto marcato a quel filone j-horror tecnologico che tanto andava in voga tra la fine del vecchio e l’inizio del nuovo millennio, Unfriended (conosciuto all’estero anche come Cybernatural) racconta la storia di Blaire, un’adolescente che comincia a ricevere strani messaggi su facebook dall’account di Laura Barns, una sua coetanea morta in maniera tragica e il cui suicidio è stato filmato e postato su youtube. Quando Blaire scopre che la fantomatica Laura ha tentato di contattare anche il suo ragazzo Mitch e i suoi amici, decide di parlarne in una video-chat su skype, ma nella loro conversazione privata si inserisce un utente misterioso. Da quel momento, i partecipanti alla chat sono minacciati dall’intruso e spronati a non abbandonare la conversazione, altrimenti moriranno!
Capirete che nella trama c’è davvero poco di innovativo, dai classicissimi anni ’80 come Jolly Killer e Non entrate in quella casa (la vendetta adolescenziale dall’oltretomba) al moderno revisionismo soprannatural-orientale di Phone, The Call e Kairo – Pulse. Quello che rende particolare Unfriended è appunto la tecnica utilizzata che è, allo stesso tempo, sperimentale e modaiola. In realtà, lo scorso anno già lo spagnolo Nacho Vigalondo con Open Windows aveva pensato di portare il thriller dal punto di vista del monitor del pc, ma qui si va oltre e il russo Levan Gabriadze trova un linguaggio che fa della fruizione tecnologica quotidiana il focus unico del film.
Se riducessimo Unfriended a questo dato, sicuramente il cyber-horror prodotto – tra gli altri – dall’onnipresente Jason Blum sarebbe un prodotto vincente, anche perché si fa portatore di un messaggio anti-tecnologico neanche troppo retorico e ben sviluppato. Il problema è che, frenato l’entusiasmo per la novità, bisogna fare i conti con la dura realtà e ci si rende conto che 90 minuti così strutturati sono davvero pesanti. Il regista è stato abile nel riprodurre con i mezzi a disposizione la costruzione classica dell’horror, con tanto di effetti sonori da balzo sulla poltrona rappresentati dalle notifiche di facebook, da flashback rivelatori affidati (intelligentemente) alla memoria storica della rete, ovvero youtube, o effetti gore celati dai disturbi di frequenza. Ma il giocattolo stanca presto e subentra la noia.
Guardando Unfriended si ha come la sensazione di assistere a quei video-tutorial in cui la gente fa “cose”, con lo svantaggio, però, di non poter skippare se il video sta annoiando.
Onore alle intenzioni e alla voglia di fare qualche cosa di “nuovo” con un linguaggio ormai inflazionatissimo, ma Unfriended, a onore dell’esilissima trama a supportarlo, poteva essere al massimo materiale per un cortometraggio.
Roberto Giacomelli
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