Until Dawn – Fino all’alba, la recensione

Quello delle avventure narrative è un filone fiorente e amato nel settore dei videogame che ha generato alcune vere e proprie pietre miliari come Fahrenheit e Heavy Rain, Life is Strange, Road 96 e Until Dawn. Proprio quest’ultimo, sviluppato da Supermassive Games e pubblicato nel 2015 su Play Station 4, ha portato quel genere videoludico a confrontarsi con l’horror-slasher creando un grande omaggio a uno dei filoni del cinema horror che più ha caratterizzato gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo. Ora quel videogame è diventato un film co-prodotto da Play Station Productions, la divisione della Sony addetta a trasposizioni cinematografiche e televisive di alcuni noti brand videoludici che ha già partorito i film Uncharted e Gran Turismo nonché l’acclamata serie tv The Last of Us.
Ma affrontare la trasposizione di Until Dawn era assai arduo per due motivi fondamentali: Until Dawn è un videogame che fa finta di essere un film, quindi farne un film sarebbe potuto essere quasi “inutile”; Until Dawn cattura tutti i cliché del filone slasher diventando un qualcosa di nuovo nel filone videoludico a cui appartiene, ma se trasformato in film sarebbe potuto essere la solita minestra riscaldata. Dunque, come approcciarsi a una trasposizione cinematografica ti questo titolo?
La risposta arriva guardando il film, che prende molto le distanze dal videogame compiendo un audace cambio di approccio: se il gioco si presenta in una veste cinematografica, il film cattura invece gli elementi di un videogioco in uno scambio di parti decisamente singolare. E questo “furto” dal linguaggio tipico dei videogame arriva essenzialmente dalla possibilità di ricominciare il “livello” anche dopo il “game over”, con un espediente creato ad hoc dagli sceneggiatori Blair Butler e Gary Dauberman che consente ai personaggi di tornare in vita dopo essere stati uccisi. E proprio questo espediente diventa il cuore pulsante di Until Dawn – Fino all’alba, il motore che porta avanti una storia fondata sulla ripetitività in cui ad interessare davvero lo spettatore è il modo cruento e creativo in cui moriranno di volta in volta i protagonisti.
Un anno dopo la misteriosa scomparsa di sua sorella Melanie, Clover decide di seguire tutto l’itinerario che la ragazza ha fatto prima di far perdere ogni sua traccia. Insieme agli amici Max, Nina, Megan e Abel, la ragazza arriva in una valle circondata dal bosco dove in passato si ergeva Glore Valley, una cittadina mineraria ormai sprofondata nel terreno dopo il crollo di una miniera. I cinque cercano accoglienza nell’unico edificio della valle, ma una volta messo piede lì dentro finiscono in un inquietante loop dal quale possono uscire solo se arrivano vivi fino all’alba. E rimanere vivi non è affatto facile, visto che l’edificio e la zona circostante sono popolati da creature che vogliono ucciderli nel modo più violento possibile. Ogni morte corrisponde a una resurrezione, ma il numero di volte che i ragazzi possono tornare in vita è limitato…
A dirigere la trasposizione di Until Dawn – Fino all’alba ritroviamo David F. Sandberg che, dopo la parentesi cinecomix con i due film su Shazam, torna all’horror, genere nel quale si era distinto con Lights Out – Terrore nel buio e Annabelle 2: Creation. Che ci sia una mano esperta è immediatamente evidente perché da un punto di vista squisitamente horror il film funziona bene. Però Until Dawn non è quel tipo di film che gioca con la tensione e la costruzione dell’atmosfera, come al contrario accadeva con i due precedenti horror di Sandberg, piuttosto cerca la via più viscerale quella fatta di mostri ripugnanti, spaventi gratuiti e splatter. La varietà di creature che popola il film è decisamente sfiziosa e passa con disinvoltura dal classico killer mascherato a una orribile strega toccando il mito del wendigo, creature infernali varie e perfino un essere gigante che si aggira tra gli alberi, anche se la minaccia più subdola e letale arriva da un elemento naturale decisamente inaspettato! Creature realizzate con trucchi pratici, effetti old style davvero suggestivi che rendono nel miglior modo possibile il senso di terrore e adrenalina che il film vuole trasmettere.
Però Until Dawn – Fino all’alba ha anche un enorme limite che risiede nella scrittura. La sceneggiatura è ben attenta a non cavalcare i cliché dello slasher – cosa che il videogame, invece faceva volutamente – ma allo stesso tempo non riesce a creare una dimensione interessante attorno ai personaggi e alla storia raccontata. Parliamoci chiaramente, Until Dawn funzione perché ci sono bei mostri e morti bizzarre e splatterose, ma i personaggi sono piatti come il Pianeta Terra nella mente marcia di un complottista e la mitologia che sta dietro a Glore Valley non è affatto interessante, così come è poco chiaro e molto approssimativo il motivo per cui accade quel che accade. Il personaggio del Dr. Hill, che, come nel videogame, è interpretato da Peter Stormare, non riesce ad aggiungere quei momenti esplicativi che invece trovavamo nella controparte videoludica, anzi le sue incursioni riesco perfino a confondere maggiormente le idee.
Dunque, se state cercando un horror solido e capace ci spaventare attraverso l’atmosfera girate a largo perché Until Dawn – Fino all’alba persegue obiettivi opposti; se invece vi accontentate di uno slasher/splatter pieno di mostri ben realizzati e colmo di jumpscares, allora fatevi avanti perché entrare in sala per questo film è un po’ come salire sulla più prestigiosa giostra horror del luna park.
Curiosità. Il regista David F. Sandberg compare in un cammeo, è una delle persone scomparse che si vede sulla parete del centro accoglienza di Glore Valley.
Roberto Giacomelli
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