Veneciafrenia: Follia e morte a Venezia, la recensione dell’horror grottesco di Álex de la Iglesia

Venezia è da sempre riconosciuta come la città romantica per eccellenza, con i suoi canali lungo i quali imperversano gondole con a bordo coppie innamorate, paesaggi mozzafiato e capaci di infondere nei turisti sensazioni di benessere che restano impresse nell’anima per sempre. Un quadro idilliaco e soave che viene reso ancor più vivace e piacevole da quell’insieme di colori, maschere e sfilate gioiose che fanno parte di quel sabba sgargiante e festoso che è il famoso carnevale veneziano. Eppure, dietro questa veste paradisiaca e accogliente, la città veneta nasconde un’anima irrequieta, a tratti spaventosa, che si cela tra i suoi vicoli stretti e opprimenti, resi ancora più inquietanti da una nebbia plumbea che li avvolge e che rappresenta l’animo ruvido e tignoso dei suoi abitanti. Quest’ultimi sono da sempre protagonisti di un eterno conflitto tra la necessità di guadagnare sui forestieri e la voglia di poter godersi una città non più minacciata da enormi navi, che si spingono quasi fin dentro le case e che trasportano orde di turisti spesso chiassosi e invadenti.

Nel cinema horror questo volto oscuro di Venezia ha trovato sfogo in numerose opere, spesso anche di ottima fattura, che hanno saputo cogliere il suo “dark side”: basti pensare a A Venezia… un dicembre rosso shocking, Nosferatu a Venezia, Morte a Venezia e tanti altri. Ora, a questa corposa lista di autori che si sono cimentati in tale esercizio si iscrive Álex de la Iglesia, uno degli autori più talentuosi e poliedrici del panorama spagnolo, il quale con il suo nuovo lavoro, dal titolo Veneciafrenia: Follia e morte a Venezia, ritorna alle origini con un horror puro contraddistinto da luci ed ombre, ma nel complesso convincente.

Il regista iberico, infatti, mette a segno un altro centro con un’opera confezionata con gusto dal punto di vista visivo e stilistico, ben ancorata al contesto sociale nel quale è ambientata ed efficace quando si tratta di infondere paura e terrore, nonostante la sua buona riuscita sia messa a rischio da una sceneggiatura scarna e a tratti ingenua.

Cinque giovani turisti spagnoli approdano a Venezia per godersi una vacanza che, almeno nelle aspettative, si prospetta divertente e indimenticabile. In effetti, i poveri malcapitati non dimenticheranno mai il soggiorno in quanto, dopo aver partecipato ad una maestosa ed esagerata festa in costume, diventano l’obiettivo di spietati assassini mascherati da Rigoletto e da dottore della Peste. Il movente di quest’ultimi è rappresentato dall’odio acerrimo verso i turisti e le enormi navi che li trasportano e che mettono a repentaglio la sicurezza di Venezia e dei suoi abitanti.

L’idea di partenza di de la Iglesia è quella di mettere in piedi un film tutto giocato sui dualismi, le contraddizioni e le apparenze di una città dall’anima molto complessa e controversa. Una Venezia, quella immaginata dal regista iberico, al cui interno si muovono uomini con maschere tutt’altro che gioiose e colorate, indigeni dall’aspetto minaccioso e intimidatorio e nascondigli segreti nei quali vengono trascinati i cadaveri di turisti infilzati da spade che fuoriescono da pareti decorate a festa dalle tipiche maschere veneziane. Tutti elementi che stonano con la fracassona e scherzosa compagnia di amici che, tuttavia, fin dal loro arrivo, battezzato da una manifestazione di protesta, capiscono di essere entrati all’interno di un tessuto cittadino infernale e ricco di insidie e trappole mortali.

Veneciafrenia, infatti, racchiude tutto quello che un amante dell’horror si aspetta e di cui è in cerca quando si accinge alla visione di un film di questo tipo: villain iconici e inquietanti sia nei modi che nell’aspetto, omicidi efferati e sangue in quantità e una tensione crescente che tiene incollati allo schermo. Il tutto incastonato in ambientazioni spettrali e funeree che, oltre ad amplificare la carica orrorifica del lavoro di de la Iglesia, esaltano maggiormente il rigore stilistico e la potenza evocativa delle immagini che lo stesso autore propone. Un film che dunque non delude le attese ed è destinato restare nell’immaginario iconico degli appassionati.

Dove Veneciafrenia mostra più di qualche crepa è la sceneggiatura, scritta dallo stesso de la Iglesia e il suo storico collaboratore Jorge Guerricaechevvaria, che se da un lato ha il merito, come detto, di far combaciare l’intreccio puramente horror con i tumulti di protesta e di diffidenza che scuotono una realtà come quella veneziana, dall’altro si dimostra piuttosto sempliciotta in alcune scelte. Alcuni esempi di questa criticità sono rappresentati dalla scarsa caratterizzazione di alcuni personaggi che invece avrebbero merito più attenzione, il colpo di scena finale prevedibile e, in ultima battuta, la solita e banale critica ai social e la nostra dipendenza da essi.

Álex de la Iglesia, in conclusione, firma un ritorno che mantiene in gran parte le promesse, ma che di certo non rappresenta il punto più alto della sua fin qui fulgida carriera.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • I villain sono efficaci sia dal punto visivo che di spietatezza.
  • Venezia in versione horror è sempre efficace e i suoi vicoli misteriosi e tetri sono ben sfruttati.
  • Omicidi efferati, sangue e violenza in buona quantità.
  • Sceneggiatura a tratti ingenua e scarna.
  • Colpi di scena finali scontati e prevedibili.
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