L’ultima ora, la recensione
L’ultima ora, o L’heure de la sortie come titola in originale, racconta la storia di una classe liceale, una classe liceale speciale. Dodici ragazzi sono stati selezionati per i loro meriti scolastici e frequentano la prima classe delle superiori, quando il quarantenne supplente Pierre Hoffman sostituisce il loro professore di Lettere che ha tentato il suicidio durante un compito in classe. Già dall’inizio il rapporto con il nuovo arrivato non è dei migliori, e perché l’autorità dell’insegnante viene messa in discussione, e perché è effettivamente difficile empatizzare con chi non ti dà credito. In particolare, infatti, sono sei gli adolescenti che presentano maggiori difficoltà di interazione; e tutto questo non deriva dal chiudersi dei ragazzi dentro sé stessi – aspetto normalmente caratterizzante i giovani più promettenti – bensì perché un adulto medio fa difficoltà a tenergli testa, in conversazione e nella vita di tutti i giorni (è infatti abbastanza raro che un neanche sedicenne offra a un professore una birra dentro un nightclub).
Perciò l’atmosfera che viene creandosi mano a mano che passano i minuti è sì surreale, ma non si stacca mai dal vissuto quotidiano con evidente presa sullo spettatore, che subisce e sta zitto, anche perché non è ben chiaro quando si sta per arrivare a un turning point. Su questa linea di azione è l’introduzione della tematica principale, che tarda a manifestarsi, ma quando lo fa lascia stupiti: che cosa infatti potrà mai mettere in crisi il vivere di persone di un’intelligenza superiore alla media? La risposta è nell’opposto: la stupidità dell’uomo. E con stupidità intendiamo l’uomo delle bombe nucleari, quello che infetta il cibo che poi mangerà, quello che non rispetta le leggi della Natura e guarda al suo solo guadagno. Partendo da queste osservazioni che magari alcuni di voi troveranno trite, ritrite e banali, il nostro Sebastian Marnier costruisce una spirale di eventi che aumenta sempre di più di intensità, fino a trasformare quello che poteva benissimo essere un teen movie, in un thriller. Pian piano che il tempo scorre le inquadrature fisse scompaiono, per lasciare spazio a carrellate rapide, e alla musica, che prende sempre maggiore importanza. A tal proposito è doveroso sottolineare la commistione dei generi: si passa dalla musica house anni 90, alla classica, alla lirica, ad altra sperimentale.
Pellicola interessante sotto molti aspetti, deludente per altrettanti altri. Il regista (anche sceneggiatore), infatti, detta molti input che poi non vengono ripresi al livello di narrazione, e che crollano senza avere alcun seguito. Non è un grave errore d’accordo, ma nel momento in cui il collo dell’imbuto si restringe, la sabbia deve comunque uscire tutta. Metafore cantieristiche a parte, di questo particolare non ci interesseremmo, a meno che non riguardasse parti fondamentali della narrazione.
Voglio finire con un elogio, che riguarda ancora i giovani protagonisti. In alcuni spezzoni si è sentita veramente forte e dirompente la drammaticità dell’azione, specialmente grazie al loro modo di recitare. Avendo questi ingredienti, fossi stato in Marnier avrei calcato la mano, esagerato la drammaticità, evitando così che in molti punti le situazioni accelerassero, per poi tornare su toni contenuti.
Roberto Zagarese
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