6 Underground, la recensione

Fingersi morti così da essere liberi e poter cercare di salvare il mondo uccidendo i cattivi. Sembra la trama di un videogioco anni Ottanta, di quei picchiaduro a scorrimento che tanto andavo di moda in quella decade, ma il plot del nuovo disaster-action movie di Michael Bay è tutto qui. Ryan Reynolds è un multimiliardario che recluta nuovi agenti per missioni ad alto rischio, che hanno lo scopo di eliminare dalla faccia della terra dittatori, terroristi, assassini e gangster che hanno reso il mondo quello che è.

Per due ore tutta la bulimia visiva tipica del regista americano ci investe, e gli occhi del povero spettatore dopo mezz’ora esatta chiedono pietà. Sembra quasi che le retine abbiano i conati di vomito per tutti i frames che sono costrette ad ingurgitare in un lasso di tempo brevissimo. Addirittura il montaggio riesce a fondere Firenze e Siena come se fossero un unicum paesaggistico, e l’inseguimento dei primi venti minuti di film salta da una città toscana all’altra nell’arco di un secondo. Il cinema, per Bay, non deve avere coerenza morfologica e geografica, proprio perché la coerenza nel suo cinema va a farsi benedire dopo cinque minuti: la coerenza esiste solo nella misura in cui il cinema diventa un’arma e la macchina da presa una mitragliatrice che spara a ripetizione inquadrature che disorientano, fanno perdere la bussola di ciò che si sta guardando. Chi ha sparato a chi? Chi insegue chi?

Si punta tutto su una giostra da luna park sgangherata e claudicante, che inizialmente può anche divertire ed incalzare come nella sequenza iniziale a Firenze/Siena (sarebbe meglio dire Firenziena): vedere un’Alfa GT verde fluorescente sfrecciare per i vicoli e le piazze del capoluogo toscano e addirittura finire negli Uffizi crea quello straniamento che inevitabilmente colpisce occhio e pancia. Senza dimenticare le scene di parkour (che a tratti hanno una visuale da GoPro fastidiosissima ed apparentemente inutile) girate sul duomo di Firenze, quasi fosse una sorta di omaggio “alla Bay” alla magniloquenza dell’architettura italiana.

C’è da dire che Bay sa indubbiamente sfruttare qualsiasi tipo di agglomerato urbano o struttura architettonica per la sua furia esplosiva/visiva: qualsiasi set, che può essere una città d’arte italiana o un cantiere di Hong Kong, deve far parte dell’azione. E tale azione porta sempre alla sua totale o parziale distruzione, perché senza un’esplosione che invada lo schermo Bay non sa starci nemmeno cinque minuti di orologio.

A tratti, il suo cinema sembra una sorta di congegno ipnotizzante che deve essere testato necessariamente su un pubblico con il deficit dell’attenzione. È vero, anche il buon Hitchcock affermava che ogni dieci minuti circa il cervello dello spettatore cinematografico andava nuovamente stimolato, ma non credo che il maestro inglese si riferisse a valanghe di inquadrature condite da esplosioni random perché “tanto è un film e posso fare ciò che mi pare.”

È vero anche che il linguaggio del cinema è molto potente e permette di fare tante cose, ma se non si ha la sensibilità di saperlo usare il risultato è questo 6 Underground.

Sto leggendo in giro dei pareri molto entusiastici, io invece rimango dell’idea che se volete un cinema d’azione che sia anche “Cinema” andatevi a riguardare George Miller, Jackie Chan, John McTiernan, Walter Hill, Sam Peckinpah, le saghe di John Wick o Jason Bourne ecc.. E lasciamo Michael Bay dove merita: in mezzo alle rovine dei suoi set distrutti.

Stefano Tibaldi

PRO CONTRO
  • L’iniziale sequenza ambientata in Italia, che fa del contrasto e dell’eccesso i punti di forza e funziona per tutti i 20 minuti di durata.
  • Ryan Reynolds che continua a fare Deadpool in ogni film.
  • I film di Bay dovrebbero durare massimo un’ora per essere digeriti.
  • Cinema action non significa esplosioni random e sventagliate di inquadrature velocissime.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: -2 (da 2 voti)
6 Underground, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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