Babylon: la Hollywood ripugnante. Incontro con il regista Damien Chazelle

Babylon è il mastodontico e bellissimo film di Damien Chazelle che racconta un delicato momento nella storia di Hollywood, il passaggio dal muto al sonoro, inquadrando in tutto il suo spudorato (iper)realismo lo star system dell’epoca. Dopo aver vinto il Golden Globe per la colonna sonora e il premio per la scenografia agli ultimi Critic’s Choice Awards, Babylon arriverà nei cinema italiani il 19 gennaio distribuito da Paramount Pictures. Per l’occasione abbiamo avuto modo di incontrare il regista Damien Chazelle a Roma.  

Per creare Babylon ho preso ispirazione dalle opere di Federico Fellini, come La dolce vita – esordisce Chazelle – è un film che offre una panoramica della società: il modo come lavora, opera, si diverte, organizza e partecipa alle feste. Il mio obiettivo era proprio illustrare questo periodo della storia di Hollywood attraverso il prisma del divertimento e del lavoro, come si susseguono, come è il ciclo della società. Dalle feste al set, l’obiettivo era quello di dare l’idea di cosa ci fosse sotto la superfice, la politica, la speranza, le tragedie, i sogni infranti”.

Babylon è un film corale e si sviluppa fondamentalmente attorno a tre personaggi: Manny (Diego Calva), Nellie (Margot Robbie) e Jack (Brad Pitt). Ma a quale di questi personaggi Chazelle si sente più vicino?

Ad ognuno di questi personaggi ho dato qualche aspetto che mi appartiene e che in un certo senso è stato il riflesso della mia esperienza in un determinato momento: in Manuel c’è un aspetto della mia vita, ma anche in Jack e Nellie. In maniera indiretta ho messo in ogni personaggio un aspetto personale, senza che nessun personaggio fosse me al 100%. Tutto il gruppo dei personaggi è me, questo era un modo per esprimere al meglio la mia esperienza.

Parlando dell’epoca del muto e come può rapportarsi ai giorni d’oggi, Chazelle sostiene che ad andar perduto, in primis, è stata la libertà e lo possiamo riscontrare nei film muti che vediamo rappresentati in Babylon e come differiscono da quelli realizzati con l’avvento del sonoro. “Nei primi del ‘900 Hollywood era qualcosa di estremamente nuovo e il cinema era considerata una forma d’arte volgare, tra l’altro non tutti la consideravano arte, e la società guardava Los Angeles come una città folle, una frontiera in cui ognuno faceva quello che voleva. È stato inevitabile che queste fiamme si spegnessero o affievolissero e fossero sostituite da qualcos’altro. Oggi abbiamo da imparare da quel periodo, ci troviamo in un momento in cui a Hollywood c’è molto moralismo puritano, conformismo, gli artisti dovrebbero opporsi e rivendicare quella libertà repressa. Babylon lo racconta in forma evolutiva perché io ho cominciato a scrivere questa storia 15 anni fa e in questo tempo Hollywood è cambiata profondamente… e non in meglio”.

Dal momento che la sceneggiatura è stata scritta quindici anni fa, qualcosa è cambiato nel tempo?

L’idea era fin dall’inizio di fare un film che si sarebbe trasformato in un altro film, nei temi e nello stile, questo riflette in qualche modo il momento in cui la società si trovava, passare dalla commedia alla tragedia, dividere il film in due. Mentre scrivevo mi sono reso conto che questo livello di esuberanza doveva trasformarsi in tragedia ma non era neanche sufficiente, doveva toccare qualcosa di più cruento, sfiorare il cinema horror per mostrare i due aspetti della stessa medaglia. Il party iniziale è contrapposto alla caduta che troviamo nell’ultimo atto, i personaggi arrivano a toccare le stelle e poi sprofondano all’inferno. Nell’ultima parte, in cui parliamo degli anni ’50, è tutto più chiaro perché quel momento doveva riflettere su tutto quello che era stato e a cui si era arrivati.

Babylon mostra molti momenti sgradevoli…

È stato importante mostrare quello che Hollywood è spesso fin troppo brava a nascondere, anche perché va ricordato che all’epoca il cinema non era come viene visto e rispettato oggi, veniva visto come qualcosa di criminale, di basso, di volgare, e tutto questo era parte del DNA dei film, di come venivano realizzati; per certi aspetti, io volevo andare a rivendicare alcuni elementi di cui godeva Hollywood in quegli anni. Il titolo stesso, Babylon, è la reputazione che nasceva dal peccato e dal vizio perché era fatto da persone leziose; la Hollywood dell’epoca era proprio definita Babilonia, era qualcosa di nuovo, nata prima che ci fosse l’avvento di Las Vegas e luoghi di quel tipo, era un’industria nuova che veniva creata da criminali e immigrati, reietti che erano stati allontanati da altri settori della società e che hanno tirato su questa città dal nulla. Tutti questi elementi raccontano cosa era diventata Los Angeles, la follia di persone che costruiscono una città dal niente. Dovete pensare che anche le cose più estreme che vendete nel film sono state alleggerite perché se avessi dovuto rappresentarle così come erano all’epoca, il film non sarebbe mai potuto uscire.

Forse anche per questo gusto per il grottesco e l’estremo l’accoglienza di Babylon è stata abbastanza tiepida.

Sapevo che avrebbe suscitato determinate reazioni e fosse accolto in una determinata maniera, ma la mia idea iniziale era proprio di dare fastidio, provocare il risentimento, far arrabbiare le persone. La mia aspettativa era di realizzare un film che fosse controcorrente. Questa è parte della ragione per cui ci è voluto molto tempo a trovare qualcuno che ci credesse e lo finanziasse. Siamo stati fortunati a trovare un posto a Hollywood un posto dove realizzarlo, cosa sempre più difficile, e per questo sono grato alla Paramount che mi ha sostenuto nonostante tutto. Non hanno mai esercitato nessuna pressione su di me per cercare dei compromessi e questo è stato magnifico: alcune cose non potevano essere filtrate, altrimenti non avrei neanche accettato di farlo. Mi rendo conto che tutto questo fosse uno shock ma sono tanti i film oggi che parlano della vecchia Hollywood celebrandola senza invece andare a rimestare nel profondo e nel torbido.

L’unica speranza è che questo film possa trovare il suo pubblico, che il film venga visto da più persone possibile a prescindere da come venga accolto, che possa suscitare dibattito, risvegliare gli animi e non solo scivolare via in maniera silenziosa. Il mio obiettivo è fare rumore. Io sono dell’opinione che il film, una volta finito, non è più mio ma diventa del pubblico, questo è importante e io ho fatto quello che sentivo di dover fare, l’ho portato al mondo e ora spetta al mondo dover fare qualcosa.

Ma Babylon sarebbe stato possibile se Damien Chazelle non avesse mai diretto La La Land e vinto tanti premi?

Questi premi non mi hanno cambiato la vita in maniera personale ma una cosa l’hanno cambiata in maniera radicale ovvero la percezione che gli altri hanno di me. Sono sincero, non penso ci sarebbero stati Studios disposti a finanziare Babylon se non avessi ricevuto quei premi.

Tra gli attori protagonisti di Babylon c’è un’attrice in costante ascesa, Margot Robbie. Chazelle l’ha definita un’attrice straordinaria. “Da una parte è una forza della natura disposta a fare tutto: lei paragona la recitazione ad essere un animale, è come se in ogni suo ruolo ci fosse una bestia selvatica diversa e in questo film è stato utile. Dall’altra parte è una persona dalla grande disciplina, è capace di fare 12 takes uno dietro l’altro e di piangere da un occhio solo. Queste capacità tecniche, connesse al suo essere selvaggia e animale, sono un mix folgorante. Con lei basta creare un ambiente in cui si stente al sicuro, sostenuta e supportata e davvero ti dà l’anima. Improvvisavamo, tornavamo alla sceneggiatura e poi improvvisavamo di nuovo, una cosa che non tutte le attrici sono disposte a fare sapendo che magari le improvvisazioni non andranno bene“.

Visto il proliferare dei contenuti per le piattaforme streaming e le presenze in costante diminuzione di spettatori al cinema, c’è futuro per la sala?

È molto divertente vedere che il film finisce nel 1952 con ‘Singing in the Rain’ che appartiene a un periodo in cui si aveva paura che il cinema stesse morendo, sostituito dalla tv. Ma così non è stato, il cinema è andato avanti e ancora oggi cresce. Forse il sistema degli Studios è morto, all’epoca era in fase di sparizione, ma è stato sostituito da qualche altra cosa; questo però mi rende ottimista, c’è un ciclo di nascita-morte-rinascita, comunque Hollywood torna: cambia, muore e rinasce. Sai che anche Lumiere diceva nel 1899 che il cinema stava morendo? Io conservo in casa una gigantografia del 1953 con Marilyn Monroe in cui ci si chiedeva “Il cinema sta morendo?”. In realtà è un continuo rinascere.

Alcune tecnologie, come il 3D, possono contribuire a tenere in salute il cinema?

Credo che il 3D possa essere qualcosa di molto interessante come molti strumenti che il cinema ha utilizzato nel corso dei decenni per fornire allo spettatore un’esperienza che possa essere diversa da quella che si può avere a casa. Andare al cinema deve essere un’esperienza unica. Ma questo dipende anche molto dalla responsabilità dell’artista se utilizzare questa particolarità come semplice espediente tecnico o come reale novità. Questo lo abbiamo visto nel corso del tempo con cose che poi sono sparite perché non aggiungevano nulla all’esperienza, che invece non è accaduto con la nascita del sonoro o del colore. Il 3D stesso può fare la differenza nelle mani di James Cameron, che da un valore estetico, magari meno in mani altrui. Spesso si tratta di transizioni difficili, ma dobbiamo ricordare che, anche se si tende a pensare che il cinema sia una cosa vecchia, se lo paragoniamo ad altre forme d’arte ci rendiamo conto che è giovane e non ha ancora esplorato tutte le possibilità che può darci.

A cura di Roberto Giacomelli

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