Bleed – Più forte del destino, la recensione

È curioso come il cinema sportivo sia quasi esclusivamente rappresentato da storie che raccontano il mondo della boxe. Dopo il successo mondiale del capolavoro Rocky (1976), hanno cominciato a proliferare film incentrati sul mondo della pugilistica e ispirati a storie più o meno vere. Da Toro Scatenato (1980) ad Alì (2001), Million Dollar Baby (2004) e Hurricane (1999), fino ad arrivare ai più recenti The Fighter (2010) e Southpaw – L’ultima sfida (2015), tutti film che raccontano la boxe come metafora della vita e della difficoltà di farsi strada in un mondo competitivo e incentrato sul mito dell’immagine. Un filone fiorente e appassionate a cui oggi si aggiunge Bleed – Più forte del destino, diretto da Ben Younger, regista di 1 km da Wall Strett, e prodotto da Martin Scorsese.

Ispirato alla vera storia del pugile italo-americano Vincenzo Pazienza, detto Vinny Paz, che conobbe un momento di gran notorietà nell’ambiente tra la fine degli anni ’80 e i ’90. In quegli anni, Vinny è diventato campione dei pesi leggeri e super welter ma Bleed racconta il momento più buio nella sua carriera, ovvero quando un incidente stradale gli ruppe il collo costringendolo a indossare un esoscheletro fissato al cranio, con il rischio che non avrebbe più potuto combattere. Grazie all’aiuto del suo allenatore Kevin Rooney, Vinny si è allenato con l’intenzione di tornare sul ring per riprendersi il titolo mondiale che nel frattempo era andato all’avversario che non aveva potuto affrontare a causa dell’incidente.

C’è poco da fare, la boxe sa effettivamente raccontare le storie meglio di qualsiasi altro sport e sa renderle appassionanti perché combattere sul ring è innanzitutto una sfida contro sé stessi e le convenzioni che la società ci impone. Vinny Paz l’ha capito bene e, malgrado i dottori e tutte le persone che lo circondavano gli ripetessero di continuo che non avrebbe mai più potuto combattere, lui ha continuato imperterrito verso la sua strada, riuscendo a superare quell’ostacolo che era rappresentato dai preconcetti degli altri. Il film punta molto su questo aspetto, la stessa voce narrante di Paz lo sottolinea nella bellissima chiusura del film, dimostrando come qualsiasi cosa può essere impossibile se si smette di combattere.

Quello che poteva essere il solito film sulla boxe, e che a un primo sguardo in effetti sembrerebbe, si rivela in realtà un’opera molto più profonda e originale e l’idea vincente di Bleed risiede proprio la marginalità con cui affronta il ring per concentrarsi sulla convalescenza del protagonista. Viviamo la debolezza di chi, al contrario, dovrebbe essere l’emblema della forza, un ragazzo che comunque non si lascia mai abbattere, caparbio e positivo in qualsiasi circostanza. A dargli corpo è il bravissimo Miles Teller, che non dimenticheremo mai in Whiplash e che si sta dimostrando uno dei migliori professionisti della sua generazione, qui spalleggiato da un Aaron Eckhart stempiato pronto a dargli forza, supportando la sua titanica impresa di risalire sul ring.

Nella vita reale Vinny Paz non è stato un eroe, anzi si è presentato agli onori della cronaca anche per alcuni deplorevoli episodi di violenza domestica. Il film di Younger, però, non guarda all’aspetto negativo di Paz, pur non esaltandolo mai nemmeno come un eroe. Paz è un uomo e come tale dimostra pregi e difetti, ma un qualche cosa di eroico la possiede: quella grande forza di volontà, mista anche una dose di sana incoscienza, che l’ha reso un esempio per chi, come lui, potrebbe veder sfumare in un attimo i propri sogni e le ambizioni. E Bleed – Più forte del destino comunica con efficacia questo concetto.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Riesce ad affrontare in maniera originale l’ormai sfruttatissimo filone cinematografico della boxe.
  • Miles Teller bravissimo, come sempre.
  • Trasmette un bel messaggio.
  • Escludendo la parte centrale dedicata alla riabilitazione, cavalca molto la struttura tipica del film sportivo.
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