Haunt – La casa del terrore, la recensione

Controverso, discusso, eclettico, eccentrico e al tempo stesso amato da molti appassionati del genere horror, Eli Roth è un regista che ha segnato gli ultimi quindici anni della scena contemporanea con il suo stile a metà fra il serio e il faceto e intriso di tanta voglia di esprimere tutto il suo amore verso i filoni cinematografici che più ama (tra i quali un posto di gran rilevo ha il cinema di genere made in Italy). Caratteristiche che l’autore statunitense ha messo in evidenza sia nei panni di regista che in quelli di produttore, attività fertile portata avanti negli ultimi anni con sempre maggior costanza e in cui si è cimentato nuovamente con Haunt, alla cui regia troviamo Scott Beck e Bryan Woods.

Questi ultimi, reduci dal successo di A Quiet Place, di cui hanno firmato la sceneggiatura, tornano dietro la macchina da presa dopo il thriller/horror Nightlight (2015) con uno slasher in piena regola che risente tantissimo delle loro esperienze artistiche passate e dell’ala protettrice di un Roth sicuramente entusiasta del risultato.

Entusiasmo motivato dal fatto che Beck e Woods danno vita ad un autentico museo degli orrori fatto di tensione, immagini sanguinolente, trappole e una rassegna di killer mascherati davvero inquietanti come nella migliore tradizione degli slasher anni Ottanta. Un prodotto, dunque, che riesce a vivere di luce propria pur strizzando l’occhio al clima da revival che si respira negli ultimi anni e allo spirito scanzonato e da fan dello stesso Roth.

Haunt

Dopo aver passato parte della serata di Halloween all’interno di una discoteca, un gruppo di ragazzi decide di dare una svolta alla festa prendendo parte ad un gioco nel quale devono entrare in una casa infestata per finta, una sorta di macabra escape room. Ben presto, però, i giovani protagonisti capiranno che non si tratta di finzione e che le attrazioni all’interno della struttura non sono strumenti di intrattenimento, ma di sangue, terrore e morte.

Ogni qualvolta comincia la visione di uno slasher lo spettatore firma un virtuale patto narrativo con il regista secondo cui vengono messe da parte le regole di verosimiglianza e ci si lascia trasportare da eventi già ben codificati, allo scopo di godere al meglio e senza vincoli logici di una sequela di delitti, bagni di sangue e lunghe ed elaborate scene di tensione.

Haunt

A questa regola non scritta non sfugge neanche Haunt che infatti al suo interno prevede tutti gli ingredienti tipici di questo fortunato filone del cinema del terrore: personaggi stereotipati e ancorati ai cliché (la protagonista con traumi del passato, il belloccio eroe di turno, la bella e stupida, etc, etc); spazi chiusi e angusti irti di trappole e popolati da serial killer spietati. I due registi, nonché sceneggiatori del film, non fanno altro che riproporre le dinamiche che lo spettatore si attende, aggiungendo però alcune finezze stilistiche interessanti e ben riuscite, su tutti la fotografia che riveste i suddetti spazi interni di colori forti e avvolgenti e musiche sempre in linea con ciò che accade sullo schermo. Tutti elementi che, insieme ad una giusta e mai esagerata dose di immagini violente e mai splatter, concorrono a creare una tensione costante e ben costruita, soprattutto in una seconda parte decisamente più pimpante e ricca della prima.

Haunt

Qualche difetto, in tal senso, va riscontrato in una fase preparatoria troppo lunga e nell’analisi psicologica della protagonista Harper dal momento che il suo ricordo del trauma infantile viene sfruttato male e in maniera sbrigativa all’interno della storia, cosa che rende il tutto fuori luogo e aderente solo in parte all’intreccio.

Al netto di tutto ciò, Haunt resta un prodotto più che riuscito che conferma le buone qualità dei due registi e di Eli Roth come produttore.

Haunt è stato distribuito in Italia con il titolo La casa del terrore sulle maggiori piattaforme VOD a partire dal mese di settembre 2020.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Tensione gestita molto bene e scene violente ben distribuite.
  • Le maschere dei killer suggestive e molto in stile slasher anni Ottanta.
  • Prima parte un po’ troppo lunga e lenta.
  • Analisi della psicologia della protagonista interessante ma mal sfruttata.
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