La vita possibile, la recensione

Anna è una donna di mezza età e con un bambino di tredici anni, Valerio. Soprattutto, però, Anna è una moglie che da troppi anni subisce le violenze – verbali e fisiche – di un marito sempre più aggressivo. Un giorno, dopo l’ennesima violenza, Anna decide di scappare da Roma insieme a suo figlio per raggiungere Torino e trasferirsi provvisoriamente a casa di Carla, una cara amica nonché attrice teatrale squattrinata. Pur se tra mille ostacoli, Anna decide di dare un taglio al passato per ricominciare nella nuova città. Le difficoltà più grandi, però, spettano a Valerio che fatica a superare la lontananza dal padre e dagli amici romani. Una nuova vita è possibile per Anna, ma per Valerio?

Quinto lungometraggio per il regista romano Ivano De Matteo che, dopo La bella gente, Gli equilibristi e I nostri ragazzi, torna a parlarci di una famiglia italiana contemporanea o, per meglio dire, delle disfunzioni sociali insite proprio all’interno dell’istituzione familiare.

De Matteo è indubbiamente un regista interessante e di talento che, dagli esordi documentaristici ad oggi, è riuscito a delinearsi un percorso cinematografico ben preciso e impreziosito da una forte personalità stilistica e contenutistica. Un film di Ivano De Matteo, infatti, è facilmente riconoscibile tra mille poiché il suo cinema si addentra sempre all’interno di tematiche ben precise e non lo fa mai in maniera ingenua o superficiale. Un cinema di pancia, quello di De Matteo, indubbiamente crudo (nei contenuti, non solo nelle immagini) e sicuramente sensibile alle dinamiche sociali, in particolar modo quelle contraddittorie e disfunzionali.

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La famiglia contemporanea resta il tema a cui il regista romano appare più legato ed è proprio questa tematica a divenire il perno centrale di tutta la sua filmografia recente. Quello a cui De Matteo ci ha abituati è un cinema del “collasso” in cui la situazione di partenza coinvolge sempre una famiglia borghese (fintamente) armoniosa i cui equilibri sono destinati a sgretolarsi vorticosamente fino a sprofondare nel dramma o nella tragedia pura. Con La vita possibile, invece, accade esattamente l’opposto ed ecco dunque che la narrazione si innesca nella tragedia, con l’esplosione di un nucleo familiare, per poi andare alla ricerca di un nuovo equilibrio e una nuova stasi. Un film per alcuni versi più speranzoso, meno oscuro dei precedenti, in cui nonostante il dramma raccontato viene riconosciuta una possibilità di riscatto anche all’interno di una società allo sbando e preda di una burocrazia anomala, piena di falle e contraddizioni.

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In La vita possibile, a finire sotto l’occhio “critico” del regista sono tutte quelle donne – incarnate qui nella figura di Anna – vittima di pesanti abusi ad opera di uomini/mariti maneschi e tutto quel sistema istituzionale che non riesce a tutelarle in alcun modo. Un tema già sfiorato nel precedente La bella gente, dove veniva offerto il punto di vista di una psicologa in difesa delle donne vittima di soprusi, che qui viene maggiormente sviluppato e analizzato divenendo il vero fulcro della narrazione. Ma a tornare con prepotenza sono anche altri argomenti cari al regista e già affrontati in passato, come l’enorme difficoltà di essere oggi genitori o l’approccio al mondo della prostituzione dal punto di vista di giovani ragazze dell’est Europa.

Insomma, tanti piccoli tasselli che si incontrano, si intrecciano e combaciano all’interno di un unico grande mosaico che è il cinema di Ivano De Matteo. Sotto questo profilo, il film in questione si dimostra senz’altro interessante poiché contribuisce a far avanzare la filmografia del regista in una direzione molto personale, rimarcando dei concetti basilari ma senza correre assolutamente il rischio di ripetersi. Ciò che convince meno, questa volta, è la sceneggiatura di Valentina Ferlan (compagna del regista e già sceneggiatrice dei film precedenti) che avanza con un ritmo troppo lento e con la scelta – non molto felice – di abbracciare toni da melodramma puro senza quella sottile e funzionale contaminazione al genere a cui i passati film di De Matteo ci avevano abituati.

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In questa direzione non aiuta troppo il cast con la scelta di Margherita Buy nel ruolo di Anna, moglie in fuga da un marito violento e con un figlio alle prese con un trauma, che ci offre un’interpretazione funzionale ma talmente troppo nelle sue corde da darci l’idea di una cosa già vista. Se la cava meglio Valeria Golino nel ruolo dell’amica Carla, che per alcuni versi può essere vista come la spalla comica del film, un personaggio ben sfaccettato che riesce a creare quel giusto equilibrio tra la frivolezza e la drammaticità di una persona che nella vita ha comunque raggiunto pochissimi traguardi.

Risultano sicuramente più efficaci ed interessanti le sequenze con protagonista Valerio, ben interpretato dal giovanissimo Andrea Pittorino, un tredicenne travolto da un delicatissimo trauma che in breve tempo l’ha allontanato dal padre e dagli amici e dunque da modelli di riferimento maschili e dal gruppo dei pari. La destabilizzazione psicologica di Valerio, che incapace di integrarsi nella nuova città familiarizza solo con i “reietti” della società nella figura del pregiudicato Mathieu (Bruno Todeschini) e della prostituta Larissa (Caterina Shulha), è ben narrata sia nel dualismo di amore-odio nei confronti della madre che nel rapporto di avvicinamento a quelle poche persone che – esattamente come lui – non appartengono a quel “nuovo mondo”.

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Ulteriore critica alla sceneggiatura si può muovere in favore del finale, indubbiamente in sintonia con lo spirito del film ma che lascia un fastidioso senso di vuoto dal momento che si ha la sensazione che nessuna delle storie aperte nel corso del film venga doverosamente conclusa e troppi punti di domanda restano nella mente dello spettatore durante lo scorrere dei titoli di coda.

Ad ogni modo, La vita possibile di Ivano De Matteo resta un film capace di smuovere tematiche tanto delicate quanto interessanti e che ben si inserisce nella filmografia di un regista di talento che ormai non deve dimostrare più nulla a nessuno. Sicuramente, però, non è in questo film che va individuata la maggior espressione artistica del bravo regista romano.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ivano De Matteo dirige un film molto personale, nello stile e nelle tematiche, capace di portare avanti un discorso iniziato nel 2009 con La bella gente.
  • L’interpretazione del giovane Andrea Pittorino.
  • Una sceneggiatura troppo sbilanciata verso il melodramma e priva di un finale incisivo.
  • Ritmo eccessivamente lento.
  • Margherita Buy che continua ad interpretare Margherita Buy.
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