Martin Eden, la recensione

Dal capolavoro di Jack London, Pietro Marcello distilla il suo primo film in concorso per il Leone d’Oro, Martin Eden. Un adattamento libero e non privo di ardimento: dalla California dei primi del Novecento, Marcello sposta l’azione a una Napoli fuori dal tempo, o meglio spalmata su tutto il ventesimo secolo.

Martin Eden (Luca Marinelli) è un giovanottone rozzo e simpatico, un marinaio, un attaccabrighe. Caso vuole che sia proprio una di queste brighe a cambiargli la vita. Invitato in una casa della Napoli-bene per aver salvato dal pestaggio un giovane figlio di papà, Martin conosce la bella e sofisticata Elena Orsini (Jessica Cressy). Dall’incontro Martin uscirà con una freccia nel cuore e un bernoccolo in testa: quello della letteratura. Il marinaio comincia a leggere furiosamente, un po’ per non sfigurare nei colloqui con la sua fiamma, un po’ per autentica passione. A poco a poco il lessico si arricchisce, le idee si raffinano, fino all’epifania: Martin Eden capisce di voler fare lo scrittore. La strada per la gloria letteraria non è facile per nessuno, tantomeno per un marinaio ignorante. Ma Martin ha una volontà di ferro e una mente brillante, non saranno i fallimenti a scoraggiarlo. Più difficile sarà per lui sopportare il rifiuto della famiglia Orsini ad accettarlo come fidanzato della “piccola, piccola Elena”.

Martin Eden, il personaggio, è potente. Marinelli dà una fisionomia credibile a un carattere complesso, fa suoi gli accenti napoletani ed è abile nel descrivere la parabola di un uomo illetterato che diventa Il Letterato del momento.

Martin Eden, il film, è confuso. In primis nella collocazione storica. Certe inquadrature mostrano costumi e scene anni ’50, altre anni ’70, a volte sembrano girate l’altroieri. Gli inserti di repertorio dell’Istituto Luce, scorciatoie per mostrare l’animo del protagonista, rimandano inevitabilmente ai primi del ‘900. Ma è voluto, certo, è voluto. Un modo per rendere universale la vicenda del nostro eroe, un artificio non privo di arguzia … anche se l’effetto più immediato è di spezzare l’incanto della finzione. Diversamente dai mitra di Jesus Christ Superstar (per citare un anacronismo ben riuscito) non si integra con il racconto. Martin lavora in campagna sfoggiando un k-way e di colpo sento la sedia sotto il sedere, noto le luci sopra le uscite di emergenza, ricordo l’impegno di domattina. Che sia voluto anche questo?

Poi c’è la questione filosofica. Martin, araldo dell’individualismo, entra a gamba tesa nella dicotomia capitalismo-socialismo. Peccato che a conti fatti non sia chiarissimo cosa intenda il nostro con questo individualismo; le sue convinzioni vengono sì dichiarate a gran voce, ma mai approfondite. Così come non va a fondo come potrebbe nello straniamento di un dotto incolto che finisce per essere fuori posto in ogni classe sociale (almeno finché non le conquista tutte, e allora si sente fuori posto con se stesso).

Sul piano attoriale l’unica performance memorabile è quella del Marinelli. Gli altri perlopiù non sfigurano, tranne i più importanti: Elena Orsini fin troppo insopportabile (ok, anche questo sarà voluto, ma si esagera …  e ‘sto accento? Cos’è, un vezzo? È stata troppo a lungo in erasmus?); Russ Brissenden (Carlo Cecchi) mentore e amico poco credibile (a proposito, com’è che alcuni nomi dell’originale sono cambiati e altri no?).

In ultimo, la conclusione è fin troppo affrettata.

Alessio Arbustini

PRO CONTRO
  • E bravo Marinelli!
  • Film ardito nella messinscena quasi sperimentale.
  • La quasi-sperimentazione finisce per essere controproducente.
  • I coprotagonisti non convincono.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Martin Eden, la recensione, 5.5 out of 10 based on 2 ratings

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