Pinocchio di Guillermo del Toro, la recensione

Pinocchio è una delle favole più amate in tutto il mondo, trasposta con centinaia di varianti, adattata a dozzine di realtà culturali che, al cinema, ha senza ombra di dubbio conosciuto la notorietà grazie alla riduzione disneyana del 1940 che tradiva non poco l’originale letterario di Carlo Collodi. Il dato curioso è che, al di là di quei punti saldi per intere generazioni rappresentati proprio dal classico Disney, dalla miniserie di Luigi Comencini del 1972 e dalla serie animata della Tatsunoko dello stesso anno, ci sono stati talmente tanti adattamenti di Pinocchio da essere, per lo più, completamente passati inosservati o dimenticati. In Italia, per ragioni diametralmente opposte, nell’ultimo ventennio abbiamo memorizzato l’imbarazzante versione diretta e interpretata da Roberto Benigni (2002) e quella diretta da Matteo Garrone (2019), ma nel solo anno corrente, il 2022, sono arrivate ben tre nuove versioni della favola di Collodi: quella russa d’animazione diretta da Vasiliy Rovenskiy, il remake Disney live action con Tom Hanks e la versione di Guillermo del Toro e Mark Gustafson che arriverà su Netflix dal 9 dicembre.

A lasciare un segno indelebile nella cinematografia dedicata a Pinocchio va ad aggiungersi proprio quest’ultima versione in animazione stop-motion diretta da Guillermo del Toro e dall’animatore Mark Gustafson che rielabora la storia di Collodi in maniera molto personale e originale.

Questa volta Pinocchio è ambientato in Italia nel mentre il Belpaese è nella morsa del regime fascista, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, tra bombardamenti aerei, campi di addestramento militare e la mortifera aria bellica che aleggia sulla spensierata atmosfera tipica del racconto originale. In questo contesto, il falegname Geppetto perde tragicamente suo figlio, mandando a monte anche la sua florida attività lavorativa, ma la rabbia e il rancore che scaturiscono dalla sua perdita fanno si che un burattino di sua costruzione prenda vita. Può quell’essere diabolico sostituirsi al figlio morto? Assolutamente no, eppure con il passare dei giorni e lo sgomento dei paesani che gli attribuiscono un’origine stregonesca, Geppetto inizia ad affezionarsi a Pinocchio e per questo, quando il burattino scompare, l’anziano uomo si mette alla sua ricerca finendo inesorabilmente nei guai tanto quanto il ciocco di legno animato.

Pinocchio trasuda a poetica e l’immaginario di Guillermo del Toro da ogni fotogramma. Il regista de La fiera delle illusioni riscrive daccapo la storia tenendo alcuni punti fermi dell’originale collodiano ma adattando gran parte del materiale alla sua sensibilità. Se la contestualizzazione storico/bellica non può che richiamare La spina del diavolo e Il labirinto del fauno, è tutto il resto che va ad ancorarsi a quell’immaginario fatto di mostri, reietti e macabra poesia.

Pinocchio di Guillermo del Toro non è un film per bambini, così come non lo è nessuna delle sue opere; si tratta di una versione di Pinocchio molto adulta che non lesina in violenza e in risvolti politici, è un film che, nel suo apparente happy ending, porta con sé una carica malinconica pesantemente pessimista. Pinocchio di Guillermo del Toro è una straziante apologia della morte e la condanna alla vita, un film che alterna l’allegria, la spensieratezza e il colore a momenti tetri e realmente spaventosi, tipici di chi ha firmato capolavori del cinema come, appunto, Il labirinto del fauno e La forma dell’acqua.

Il burattino recupera in questa versione della storia il suo sotto testo cristologico che qualcuno, in passato, vi aveva intravisto e trasla molti elementi della favola originale a un reale contesto storico: Benito Mussolini, spogliato della sua autorevolezza e messo in ridicolo, diventa un personaggio della storia oltre che della Storia, i soldati del regime presenziano in più occasioni e il Giardino dei Balocchi è trasformato in una scuola militare per la formazione di giovani fascisti. Perfino alcuni personaggi come il Gatto e la Volpe scompaiono e si fondono con altri (Mangiafuoco si chiama Signor Volpe), la Fata Turchina assume connotati mitologici e si sdoppia in una versione infernale che regola il flusso dei vivi e dei morti tra la Terra e l’Aldilà. Solo il Grillo Parlante rimane intatto nella funzione di Coscienza e qui abita nel torace di Pinocchio, è il suo cuore, nonché narratore della vicenda.

Alternando rari momenti musicali a una narrazione classica, Pinocchio di Guillermo del Toro si caratterizza per un’animazione in stop-motion molto retrò che rende nelle fisionomie legnose gli esseri umani simili ai burattini. In alcuni momenti sembra di guardare quei vecchi show televisivi come i Thuderbirds, in cui i personaggi erano dei veri burattini animati, o quegli spettacoli itineranti nelle piazze delle città. C’è una particolarissima ricerca nell’impianto visivo di questo Pinocchio che ne fanno un prodotto davvero unico e speciale.

Sicuramente questa versione di Pinocchio non incontrerà tutti i gusti, è un’opera altamente autoriale e personale, ma se amate la poetica decadente di Guillermo del Toro non potrete che adorare questa splendida opera d’arte, struggente e divertente, malinconica e intelligente, nonché uno dei migliori adattamenti di Pinocchio che siano mai stati realizzati.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una rilettura originale e molto personale della favola di Pinocchio.
  • Lo stile inconfondibile di Guillermo del Toro.
  • Divertente e struggente, vi troverete a ridere e poi piangere nell’arco di pochi secondi.
  • Se non siete particolarmente in vena di un prodotto così “particolare” potreste trovarlo perfino pesante.
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