The Haunting of Bly Manor: la soap opera che credeva di essere una ghost story

The Haunting of Bly Manor

Pronta ad inaugurare le uggiose giornate di ottobre che conducono lo spettatore verso lugubri bingewatching a tema Halloween, The Haunting of Bly Manor approda su Netflix il 9 ottobre confermando l’appeal che le storie di fantasmi hanno in questi anni sul pubblico generalista voglioso di brividi.

Cavalcando il grande successo di critica e spettatori che ha avuto due anni fa The Haunting of Hill House, Netflix prosegue su quella via trasformando “The Haunting…” in un brand antologico per delle miniserie e tiene la gallina dalle uova d’oro Mike Flanagan come regista del pilot e supervisore generale.

Se The Haunting of Hill House era la (molto) libera trasposizione del romanzo di Shirley Jackson L’incubo di Hill House, The Haunting of Bly Manor è la (poco) più fedele trasposizione di Il giro di vite di Henry James. E, nel genere ghost story, Il giro di vite è un po’ come Dracula per il genere vampiresco, per intenderci, una pietra miliare che ha in buona parte dettato le regole per la costruzione narrativa del genere. Infatti, se consideriamo film per il cinema, film tv, serie e corti, sono circa 150 le opere che in modo fedele o meno si ispirano al racconto di fine ‘800 scritto da James, tra cui The Turning – La casa del Male di imminente distribuzione nei cinema italiani.

The Haunting of Bly Manor

Capirete, dunque, che non c’è aria di freschezza nella nuova miniserie Netflix, così come una rimasticatura ben confezionata stava anche alla base di The Haunting of Hill House. Ma se nella scorsa miniserie c’era un’energia che spingeva il materiale letterario verso lidi personali, in parte originali, affidandosi al buon mestiere di Flanagan, in The Haunting of Bly Manor si nota una punta di stanchezza, un lassaiz-faire generale schiavo del format e delle durate stabilite da Netflix, al punto tale che si arriva con gran fatica al termine dei nove episodi (da 50 minuti l’uno) e con la sensazione che il brodo sia stato allungato in modo eccessivo e non sempre funzionale.

Il racconto inizia con un racconto, perfettamente in linea con il romanzo, e prosegue facendo della fedeltà la sua regola primaria. Un gruppo di persone, riunite in una grande casa nobiliare, si stringe attorno al fuoco per ascoltare la storia dell’anziana del gruppo, una storia di fantasmi ambientata a Bly Manor, nella campagna inglese. Siamo a metà degli anni ’80 del ‘900 e la giovane americana Dani Clayton in cerca di lavoro in Gran Bretagna risponde a un annuncio per il posto di istitutrice per due bambini. A cercare questa figura per i propri nipotini Miles e Flora è il loro zio, il ricco Henry Wingrave, tutore dei bambini dopo la morte improvvisa in un incidente dei loro genitori. Henry però non vuole avere nessun contatto con Miles e Flora e così, mentre lui abita in città, lascia i due bambini a Bly Manor, abitazione estiva di famiglia, in compagnia della governante Mrs. Grove, del cuoco Owen, della giardiniera Jamie e, appunto, di un’istitutrice che possa sostituire la defunta (in circostanze misteriose) Miss Jessel. Dani ottiene il lavoro e ha un ottimo primo impatto, visto che i bambini sono adorabili e gli altri abitanti di Bly Manor amichevoli e gentili. Ma prima di andare a dormire, Flora fa una raccomandazione a Dani: non deve mai e poi mai uscire dalla sua stanza finché non sorge il sole.

The Haunting of Bly Manor

L’incipit, che poi è in buona parte il primo episodio, è molto buono e se non fosse per una messa in scena un po’ blanda che predilige una fotografia “smarmellata” da fiction vecchia maniera, potremmo perfino dire ottimo. Si nota un crescendo nel secondo episodio, perché, pur esplorando il passato della protagonista, si cominciano a sviluppare gli argomenti soprannaturali con un certo senso dell’inquietudine così come ci aveva abituato The Haunting of Hill House. Però, a partire dal terzo episodio, c’è una netta battuta d’arresto che di fatto rende statica tutta la narrazione. L’argomento (apparentemente) principale è esaurito, si comincia progressivamente a inserire materiale originale, ma il linguaggio diventa preoccupantemente vicino a quello della soap opera, con intrecci amorosi, tradimenti, dialoghi infiniti seduti in salotto o adagiati al tavolo della cucina, retroscena scabrosi sulle attitudini sessuali di questo o quel personaggio e via dicendo, con tanto di episodi monografici mirati ad approfondire il poco interessante passato dei character secondari. Insomma, palesi escamotage per fare minutaggio. Dei fantasmi che infestano Bly Manor ci si dimentica completamente, le “apparizioni” si contano nell’ordine di una ogni due episodi, e qualsiasi minimo aggancio al genere horror viene abbandonato in favore di un dramma sentimentale di cui nessun appassionato di storie macabre sentiva il bisogno.

The Haunting of Bly Manor

Si torna sui binari a due episodi dalla fine, quando un balzo temporale lungo un intero episodio ci racconta le origini della maledizione che si è abbattuta sulla tenuta, spezzando il sonnolento ritmo che la serie aveva imboccato e fornendo qualche risposta a delle domande di cui tutti sembravano essersi dimenticati. Finché, nell’epilogo, capiamo che l’intera miniserie è in realtà uno specchietto per le allodole, lo dichiarano apertamente i personaggi, e quella che era stata venduta come una storia di fantasmi non è altro che una storia d’amore.

Touché. Noi horrorofili siamo stati ingannati. Gli indizi c’erano ma Flanagan e il suo team composto da Yolanda Ramke, Ben Howling, Ciarán Foy, Liam Gavin e Axelle Carolyn, hanno orchestrato un diabolico piano che raggiungere un target molto ampio, da una parte promettendo e poi tradendo, dall’altra sorprendendo.

The Haunting of Bly Manor

E c’è da dire che a livello orrorifico alcune cose funzionano: la donna del lago è una figura spettrale molto creepy che riesce a incutere timore col solo aspetto minimale e le (rare) comparsate dei fantasmi hanno una loro efficacia che svincola dal banale jumpscare. Poi c’è la strizzata d’occhio cinefila che solo gli esperti coglieranno e che implica il nome della protagonista, Dani Clayton, visto che Jack Clayton era il regista di Suspense (1961), ad oggi il più celebre e riuscito adattamento del racconto di Henry James.

Il problema risiede nel riempire questo contenitore apparentemente horror, perché, appurato che gli intenti dei creatori della miniserie sono altri che adagiarsi su una “semplice” ghost story, ci si può stare e anche con piacere al gioco di specchi che porta a leggere le presenze ultraterrene come parte di un racconto romantico che possiede anche un buon epilogo. In fin dei conti anche The Haunting of Hill House utilizzava l’horror per raccontare un dramma famigliare, ma se nella prima miniserie c’era una maggiore coesione nel dipanarsi della storia, nella gestione degli episodi e nel dosare i generi, in The Haunting of Bly Manor si nota solo un’altalena narrativa che può davvero sfiancare i più. Probabilmente parte di questo problema è dato anche dalla mancanza di una visione unica dietro la serie, di una mano ideativa e registica che gestisse tutta la serie come accaduto con Hill House, visto che qui Flanagan – che, vi ricordiamo, è regista anche di Doctor Sleep, Ouija – L’origine del Male e Il gioco di Gerald – ha passato il testimone a terzi per pregressi impegni lavorativi.

Cast di alterna efficacia che ricicla quasi in toto il cast di The Haunting of Hill House, con Victoria Pedretti nel ruolo principale (è Miss Dani Calyton), affiancata da Henry Thomas, Oliver Jackson-Cohen, T’Nia Miller, Rahul Kohli, Amelia Eve, Tahirah Sharif, Kate Siegel e Carla Gugino in un cammeo; ma il ruolo da leoni lo fanno i due piccoli attori che interpretano Miles e Flora, ovvero Benjamin Evan Ainsworth e Amelie Bea Smith, “perfettamente splendidi”!

Insomma, se cercate una miniserie horror da guardare nel periodo di Ognissanti, The Haunting of Bly Manor non è quello che fa per voi, visto che utilizza la ghost story come veloce espediente per raccontare altro e puntare a un target praticamente opposto a voi. Potremmo definirla la versione politicamente corretta e innocuamente “per tutti” di American Horror Story: Murder House, vista anche la somiglianza tematica con la prima stagione della serie antologica di Ryan Murphy e Brad Falchuk. Se invece volete un denso romance, fatto di struggimenti amorosi e colpi di scena sentimentali, quindi se siete costantemente sintonizzati sul daytime di Canale 5 e Rete 4, allora apprezzerete non poco l’abile mosaico gotico messo in piedi da Netflix.

Roberto Giacomelli

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