Top Gun: Maverick, la recensione

Ci sono film che si fanno simbolo indelebile di un periodo storico, di un modo di vivere, di un’intera generazione; quei film che, al di là di qualsiasi merito artistico, entrano nella Storia imponendosi nell’immaginario popolare. Top Gun è uno di questi.

Vuoi per l’iconica colonna sonora e per il singolo dei Berlin Take My Breath Away, per le scene di volo mai viste prima al cinema, per lo sfrontato Maverick di Tom Cruise o per l’amicizia virile che lega i protagonisti, che col passare degli anni ha spesso assunto tutt’altro significato. Quello di Tony Scott è ricordato oggi come un grande classico, figura spesso nelle personalissime liste dei “film preferiti” di molti maschi nati negli anni ’70 ed è un esempio perfettamente rappresentativo della Hollywood reaganiana. Insomma, una testimonianza preziosissima scaturita da un incrocio di fattori socio-culturali utili a mappare un’intera generazione.

Impossibile, nell’anno del Signore 2022, ignorare tale influenza e far rimanere ancora un caso isolato Top Gun proprio in un periodo storico in cui il riciclo dagli anni ’80 è diventato vitale alla sopravvivenza stessa del prodotto audiovisivo. Infatti, è anche per questo motivo che oggi leggiamo fomenti da social su Top Gun: Maverick, il sequel a 36 anni di distanza fortemente voluto da Tom Cruise, un sequel che riesce a inglobare tutte le caratteristiche che hanno reso un classico il film di Tony Scott facendone però una versione upgrade per il pubblico del terzo millennio.

Dopo 34 anni dalla brillante riuscita della missione che lo ha reso una leggenda dell’US Navy, Pete “Maverick” Mitchell non è riuscito, anzi non ha voluto, fare troppa carriera e con il titolo di Capitano di Vascello collauda aerei per la Marina. Un incidente di cui è responsabile, però, rispedisce Maverick direttamente alla scuola Top Gun dove dovrà fare da istruttore a un manipolo di dodici piloti e sceglierne sei per una missione segreta. Tra i piloti da addestrare c’è anche Bradley “Rooster” Bradshaw, figlio dello scomparso navigatore di Maverick, Goose, morto a seguito di un incidente di cui Maverick si è sempre ritenuto responsabile. La convivenza non sarà semplice, così come la missione che vedrà coinvolti i piloti Top Gun.

Ad un certo punto, durante il film, Maverick si trova a conversare con il suo storico rivale e amico Iceman, interpretato ancora una volta da Val Kilmer in un cammeo sinceramente emozionate, e quest’ultimo rimprovera al protagonista di vivere nel passato e gli consiglia di uscire da questo ghetto temporale in cui si auto-recluso. In questo breve scambio di battute c’è la chiave di lettura di Top Gun: Maverick che è anche un’arguta auto-critica che Hollywood (e con essa la produzione stessa del film) si concede. Si può vivere nel passato? Si, si può, altrimenti lo stesso sequel di Top Gun non esisterebbe, ma c’è anche bisogno di superare il passato – così come è invitato a fare Maverick – e trovare un modo per dialogare col presente, per non limitarsi all’effetto nostalgia fine a se stesso. E Top Gun: Maverick è un onestissimo prodotto che sa come destreggiarsi con l’impasse del requel, superando se stesso, ovvero il film degli anni ’80, per restituire al pubblico un’esperienza sincera, emozionate, limpida e spettacolare come raramente se ne vedono di tale qualità quando c’è uno “scomodo” antenato a far da pietra di paragone.

Gli sceneggiatori Ehren Kruger, Christopher McQuarrie ed Eric Warren Singer hanno fatto un lavoro di punto davvero lodevole dando vita, come hanno detto senza esagerare i critici d’oltreoceano, al “blockbuster perfetto”. Perché se non c’è alcun dubbio che Joseph Kosinski, già regista dei pregevolissimi e sottovalutati Tron: Legacy e Oblivion, ha eseguito un lavoro MO-STRUO-SO di regia senza far rimpiangere le magnifiche scene action di volo curate da Scott, Top Gun: Maverick è fondamentalmente e paradossalmente un film di scrittura.

La nostalgia del tempo andato che si traduce nell’incapacità di lasciare andare il passato – anche attraverso il legame sempre vivo col compianto Goose – ma anche l’evidente sindrome di Peter Pan che affligge Pete, sono fondamentali alla delineazione del fortissimo carattere del protagonista che, proprio grazie a questo sequel, va a completare ed arricchire l’iconica caratterizzazione che gli era stata data nel primo film. Ritroviamo Maverick a cavallo della sua Kawasaki Ninja, avvolto dal giubbetto dell’aviazione americana e con indosso i caratteristici Ray-Ban Aviator: nonostante siano passati 34 anni (36 per noi che vediamo il film), quel ragazzo voglioso di farsi valere non sembra affatto cambiato e a questo contribuisce non poco la presenza dello stesso Tom Cruise, sempre più vicino all’idea di creatura immortale come il Lestat interpretato in Intervista col vampiro.

Lo scontro ideologico con il presente e il rifiuto ad accettare il tempo che passa si rispecchia immediatamente nella prima “impresa” di Maverick in questo sequel: dimostrare che l’uomo non può essere rimpiazzato dalla tecnologia, sfidando letteralmente (e irresponsabilmente) tutti i limiti posti in una gara contro un drone. Già l’incipit è folgorante e traccia le coordinate di lettura del film, confermate dal rapporto adolescenziale che Maverick ha con la bella barista Penny, interpretata da Jennifer Connelly, e dal suo modo di insegnare ai novelli Top Gun che sembra uscito direttamente da un film di John Hughes.

Un fondamentale sviluppo nell’evoluzione narrativa e tematica di Top Gun: Maverick è dato dal rapporto che viene a crearsi tra Maverick e Rooster, interpretato da Miles Teller. Tra i due nasce un’inevitabile intesa ostacolata però da un’ostilità tipica del rapporto genitore/figlio. A Rooster manca un padre e ogni spettatore inevitabilmente scorgerà in Maverick la compensazione a questa mancanza, anche perché Maverick si comporta perfettamente come si comporterebbe un genitore, cercando di salvaguardare il ragazzo anche a costo di tarpargli le ali.

Ogni comportamento che innesca una reazione causa-effetto, ogni singolo sguardo che Maverick e Rooster si scambiano è inserito nel momento giusto per far si che tutto in questo film si incastri a perfezione.

Non possono mancare, poi, quei richiami inevitabili al primo film che fanno quasi pensare alla logica del remake: c’è la scena goliardica nel bar con tanto di pianoforte, la partita di beach volley in spiaggia, il cavaliere che riporta la sua bella a casa in moto e la missione mortale contro un nemico mai esplicitato. Allo stesso tempo, però, Top Gun: Maverick riesce a dare allo spettatore quello che Top Gun non era riuscito, ovvero un climax finale grandioso e avventuroso, narrativamente complesso che aggiunge tantissimo nell’esperienza di coinvolgimento emotivo.

Quindi si, il produttore Jerry Bruckheimer, Tom Cruise e il loro team sono riusciti a superarsi fornendo a Top Gun un sequel che, nonostante i troppi anni passati, aggiunge realmente elementi alla mitologia grazie alla consapevolezza dello status che il primo film ormai ha raggiunto.

Top Gun: Maverick è un grandissimo sequel e un gran bel film, il classico prodotto in cui tecnica e cuore riescono a incontrarsi per far vivere allo spettatore la migliore esperienza possibile.

Al cinema dal 25 maggio 2022 distribuito da Eagle Pictures, dopo posticipi che ne hanno ritardato l’uscita per ben due anni.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Lo script “di ferro” in cui si riesce ad espandere la mitologia del franchise.
  • Le fantastiche scene d’azione aerea.
  • Il rapporto tra Maverick e Rooster.
  • Il gran finale che gli fa guadagnare diversi punti in confronto al film precedente.
  • Parliamo di un film che rispecchia in tutto e per tutto i canoni del blockbuster hollywoodiano, dalla messa in scena alla scrittura. Quindi se cercate qualcosa di innovativo di certo non la troverete in questo film.
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