34 TFF. Sensazionalismo televisivo: Christine e Kate Plays Christine

Ed ora, seguendo la politica di Channel 40 di offrirvi sempre le ultime notizie su fatti di sangue e massacri, con colori vivi, state per vedere un’altra esclusiva – un tentato suicidio.”

Quest’anno il Torino Film Festival ospita due film dedicati alla controversa e malinconica figura di Christine Chubbuck, la giornalista che si suicidò in diretta televisiva.

Come si può ben immaginare la storia è altamente drammatica e delicata ed entrambi i film cercano di mantenere una posizione ben delineata nei confronti dell’accaduto. Christine si pone come spettatore tacito della vicenda avvenuta nel ’74, raccontando gli ultimi mesi di vita della protagonista, cercando di mettere a fuoco quali possono essere state le ragioni dietro a un atto tanto disperato.

Kate Plays Christine, invece, è una sorta di documentario su Kate Lyn Sheil, scritturata per interpretare Christine in un biopic e viene seguita dal regista mentre cerca una connessione con il suo personaggio.

christine_locandinaIl film di Antonio Campos si apre con una Christine grintosa e piena di voglia di fare. Lavora su storie legate al sociale, fa volontariato in un ospedale pediatrico e ha un buon rapporto con la madre, con la quale vive.

Iniziamo però quasi subito le increspature di una vita che ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare totalmente nella norma. Christine è una donna sola, è chiusa e riservata, ha pochi amici con i quali però non si confida e ha una strana cotta per il presentatore del telegiornale per cui lavora, George. Sul lavoro è passionale e determinata ma i suoi pezzi non riescono a catturare il favore del capo poiché non fanno notizia. A tutto questo si aggiunge un dolore al ventre che comincia a preoccuparla.

Christine comincia così ad avere aspre litigate con il suo capo Mike, che per salvare un’emittente televisiva sull’orlo della chiusura, spinge i suoi giornalisti a cercare le notizie sensazionali, incidenti e morti, storie truculente per cui il pubblico sembra andare pazzo. Allo stesso tempo, una visita medica le rivela la presenza di una ciste la cui rimozione diminuirà drasticamente le sue possibilità di avere un figlio in futuro.

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Essendosi sempre immaginata moglie e madre, questo è un duro colpo per Christine che si va a sommare a nuove pressioni lavorative: il proprietario dell’emittente ha deciso di aprire una nuova stazione a Baltimora e sta cercando del personale da portare con sé. Decisa a non lasciarsi sfuggire quest’occasione di carriera, Christine decide di piegarsi all’esigenze del pubblico cercando, senza troppi risultati, di confezionare servizi con più mordente. Mentre prende contatti con la polizia locale e con i rivenditori di armi alla ricerca della sua grande storia, Christine comincia pian piano ad alienarsi rispetto a quello che la circonda: sempre più focalizzata sul lavoro si richiude su se stessa, dando sfogo a scatti d’ira e manie di persecuzione.

Ha un’ultima speranza quando George la invita a cena. Scettica prima, felice poi, decide di lasciarsi andare solo per essere crudelmente riportata alla realtà: preoccupato per lei, George la porta ad un gruppo di supporto. La stessa sera Christine viene a conoscenza che proprio George è stato scelto per Baltimora e che porterà con sé Andrea, la bella ragazza delle notizie sportive.

Christine non può sopportare oltre e, con una fredda attenzione per i dettagli, prepara la sua uscita di scena.

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Il film di Campos mostra la lenta e inesorabile discesa di Christine nella parte più buia di sé stessa. Ogni tassello della sua vita sembra portarla direttamente a quel tragico gesto senza possibilità di soluzione. La conosciamo apparentemente felice e osserviamo come questa donna intelligente, bella e di classe si spegne per diventare una corrotta versione di sé stessa. La meravigliosa Rebecca Hall riesce a riportare sullo schermo una protagonista difficile e complessa, dandole dignità senza mascherarne i difetti. Un film di grande impatto che merita assolutamente di essere visto.

kate-plays-christine-posterAvere la possibilità di vedere, a questo punto, Kate Plays Christine è un’aggiunta di valore, che spinge ad ulteriori riflessioni su una vicenda caduta ormai nel dimenticatoio.

Si muore due volte, una volta quando smetti di respirare e l’altra quando l’ultima persona pronuncia il tuo nome”. Queste le parole di uno storico di Sarasota che Kate, l’attrice chiamata ad interpretare Christine, trova sul suo percorso di ricerca. Questo è uno degli aspetti che più rimane impresso del film di Robert Greene: Christine è stata dimenticata.

Ogni suo filmato è gelosamente custodito da un “loro” non ben identificato e persino gli abitanti della sua città sembrano non ricordarsi chi era, nemmeno la vicenda che l’ha resa tristemente nota.

Kate deve faticare non poco per cercare di mettersi sulle tracce degli ultimi frammenti di Christine Chubbuck per poterla degnamente replicare sullo schermo. È un percorso lungo e frustrante, costellato da molti buchi nell’acqua e pochissime scoperte. Kate comincia a vestire i panni di Christine, compra una parrucca, nasconde i suoi occhi blu dietro lenti a contatto, abbronza la sua carnagione chiara. Si interroga costantemente su come poter meglio rappresentare la complessità di una donna come Christine senza averla mai davvero vista, se non in fotografia, senza aver mai sentito la sua voce. Le sue ricerche continuano in concomitanza con le riprese del film. Anche gli altri attori vengono interrogati sulla loro vita, su come si approcciano ai loro ruoli, cosa pensano del suicidio; storie incredibilmente profonde e personali prendono forma, come se la vita della dimenticata Christine potesse ancora oggi sortire un qualche effetto su chi vi entra in contatto.

Fra le persone intervistate c’è chi la compatisce, chi la taccia di egoismo, chi definisce il suo atto inutile e chi semplicemente non sa chi sia.

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Tutto questo si amalgama con un altro importante tema del film. Il gesto di Christine era stato dettato anche dal suo profondo bisogno di ribellarsi ad un sistema giornalistico che prediligeva il sensazionalismo piuttosto che l’informazione. Kate, trovandosi lei stessa nella condizione di dover ripetere il gesto di Christine per la riuscita del biopic, esasperata e arrabbiata, non riesce a premere il finto grilletto e, urlando, chiede “perché”. Perché rimettere in scena quel momento? Perché riportare sullo schermo proprio il sangue che Christine avrebbe tanto voluto tenere lontano dai notiziari.

Siete solo un branco di sadici del cazzo!”, conclude.

Questo è uno dei grandi paradossi della storia di Christine Chubbuck: nel tentativo di togliere la violenza dai telegiornali ve l’ha portata lei stessa. Kate cerca di non perpetrarla come un’eroina, vuole essere vera, autentica ma non innalzare alla gloria un gesto drammatico dettato da una condizione infelice.

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I due film riescono a dare insieme un quadro piuttosto completo di quella che è stata Christine Chubbuck. Kate Plays Christine aggiunge quelle note biografiche mancanti nel film di Campos (aveva due fratelli, le dinamiche con i colleghi erano leggermente diverse) ma pecca in quello in cui eccelle invece Christine: la messa in scena.

Campos mette insieme un film empatico che dona allo spettatore un paio d’ore di intrattenimento carico di tensione e aspetti di riflessione, contando su un’attrice protagonista, Rebecca Hall, straordinaria.

Green invece, seppur più accurato, interpone fra lo spettatore e Christine fin troppi passaggi, rendendo molto difficile l’immedesimazione. Non aiuta una ripresa rough, rozza, e un cast di sicuro non a livello del suo cugino meglio riuscito.

Michela Marocco

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