Andor: una nuova speranza!
È opinione comune che da parecchi anni il franchise di Star Wars non faccia altro che scodellare più o meno cocenti delusioni. Non si tratta quasi mai di cose del tutto inguardabili ma anche i fan più accaniti ammettono un lento ma inesorabile distacco da quella che viene chiamata “la trilogia originale”. Ogni prodotto di questo universo ha le sue specifiche e particolarità, quindi sembra difficile individuare il difetto singolo che dia la prova del cambiamento. C’è chi semplicemente incolpa la Disney, chi pensa che ormai sia fatto tutto solo per il vil denaro e tante altre opinioni divergenti (contando anche coloro che non sarebbero per nulla d’accordo e trovano queste narrazioni sempre di qualità).
In settembre, si potrebbe dire quasi in sordina se paragoniamo la diversa attenzione al marketing rispetto ad ogni altro prodotto, è uscita Andor, la nuova serie spin-off che va a collocarsi cinque anni prima di Rogue One, che racconta la storia del protagonista Cassian Andor. Considerando quanto poco se ne è parlato e considerando gli altri prodotti usciti ultimamente, quando ci si accinge alla visione le aspettative non sono particolarmente alte. Eppure, con Andor finalmente si fa l’impossibile: ci spiega cosa mancava in tutti gli altri film (e serie).
Già nel 2016, quando era uscito Rogue One: A Star Wars Story ne avevamo avuto un assaggio, la realtà di ciò di cui si parla in Star Wars veniva finalmente espressa in tutta la sua potenza, addirittura togliendo la parte “più divertente”: tutto ciò che in Star Wars è mistico e ha a che fare con La Forza. Perché, a conti fatti, questo universo narrativo vasto e complesso parla di una cosa molto semplice, la battaglia fra il Bene e il Male. La differenza sostanziale che c’era però fra il modo in cui se ne parlava nella prima trilogia e poi in tutti gli altri prodotti è che all’inizio c’era una certa specificità. Non era solo un male vago: era il male inflitto da un regime autoritario, a cui poi i nostri eroi, in un modo o in un altro, dovevano opporsi. Nella seconda trilogia si era cercato di mantenere quel tema tramite le dinamiche politiche che portavano alla vittoria dell’Impero ma anche lì mancava qualcosa ed è ciò di cui in Andor abbiamo la vera dimostrazione.
Finalmente possiamo vedere gli effetti sulle persone di ciò che significa vivere in un regime autoritario. Non è semplicemente l’atto violento che dà inizio alla vicenda (come l’assassinio degli zii di Luke in Una nuova speranza) ma è un lento stillicidio di libertà negate, di un male che si trasforma in normalità ed istituzione. E non è la storia di un grande Eletto, di un Messia con abilità speciali, è la storia di una persona qualunque, come potremmo essere tutti noi, Cassian Andor (interpretato da un magistrale Diego Luna). Anche la struttura in sé della vicenda aiuta a distribuire i pesi emotivi in un modo diverso dal solito. Nel finale di Rogue One assistiamo alla morte di Cassian, una morte eroica perché finalizzata a salvare i piani di costruzione della Morte Nera (che poi aiuteranno alla sua distruzione). Ci troviamo quindi ad avere un finale estremamente definito e l’unica domanda che dobbiamo porci è “come si arriva ad avere una tale abnegazione di sé?”, o per meglio dire “come si diventa un rivoluzionario?”. Questo è il racconto e il grandioso arco del personaggio a cui ci fa assistere Andor. La struttura della serie inoltre aiuta moltissimo nello sviluppo psicologico e nella rappresentazione a tutto tondo di una situazione complessa.
La scrittura, in particolare, è ciò che brilla più di tutto. Gli episodi seguono una struttura narrativa di blocchi di tre, facendo tranquillamente a meno di cliffhanger e affidandosi solo alla maestria degli sceneggiatori. In particolare, spiccano gli episodi ambientati in prigione, scritti da Beau Willimon (House of Cards, Mary Queen of Scots), e lo straordinario epilogo scritto dallo showrunner Tony Gilroy (Rogue One, The Bourne film series).
E, inaspettatamente, Andor riesce a introdurre nell’universo di Star Wars qualcosa di nuovo: la tensione. Dal momento che sia i protagonisti, che gli antagonisti, che le situazioni vengono percepite come più realistiche, improvvisamente il pericolo risulta palpabile. È vero che sappiamo già quale sia il destino di Cassian, ma nonostante questo (incredibilmente) temiamo per il suo destino e soprattutto per il destino dei cittadini dell’Impero. È finita l’epoca degli Stormtroopers che crollano a terra come mosche.
Un altro elemento che sicuramente ha contribuito alla qualità della serie è la decisione di destinarla ad un pubblico più adulto, per la prima volta nell’universo di Star Wars. Non solo la violenza è più efferata e si fa addirittura menzione al sesso (sic!), ma le complessità degli antagonisti la rendono veramente una metafora della realtà. Finora in Star Wars spiccavano o i cattivi classici, malvagi solo al fine di esserlo (Palpatine), o le pedine inutili e disumanizzate da poter uccidere senza particolari remore (gli Stormtroopers), con l’encomiabile eccezione di Darth Vader e di tutto il suo arco di trasformazione. In Andor gli antagonisti non solo non sono particolarmente infidi ma riescono pure ad avere loro stessi un arco narrativo, seppur senza rinnegare la propria natura. Gli antagonisti, così come i protagonisti, sono persone dolorosamente normali, che si sono semplicemente conformate a quello che è diventata la realtà della loro vita, ovvero l’Impero. Andor ci racconta che nel caso in cui l’istituzione abbracci una moralità corrotta, è l’istituzione stessa e la normalità che rappresenta a diventare il male, abbracciando in pieno le tesi di Hannah Arendt. È sicuramente il prodotto più dichiaratamente politico di tutta la saga e si ha la sensazione che Star Wars possa tornare ad essere il prodotto rivoluzionario che era stato un tempo (George Lucas ammise che i ribelli fossero ispirati ai Viet-cong).
Inoltre, la regia, le ambientazioni, gli effetti speciali e perfino il montaggio si potrebbe dire che siano impeccabili, nulla viene lasciato al caso. Il reparto tecnico riesce a stare al passo più che egregiamente con la narrazione. Anche le colonne sonore sono originali per la serie, per poter donare una loro specificità al prodotto, senza appoggiarsi a nient’altro che a se stesso.
Grazie a questa encomiabile stratificazione di significati, alle storie dei protagonisti fresche, alla tanto lunga attesa decisione di abbandonare inutili fan service, Andor riesce a creare un universo narrativo che si colloca perfettamente all’interno a quello di Star Wars ma che allo stesso tempo riesce a stare in piedi tranquillamente da solo, avanzando la possibilità di invitare nuovi fan anche digiuni della saga.
Una serie da non perdere!
Silvia Biagini
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