Barbie, la recensione

Che anche Barbie arrivasse sul grande schermo in versione live-action era solo una questione di tempo.

Tutto quell’immaginario che fino a qualche anno fa era appannaggio dei bambini, da quando quegli stessi fruitori sono cresciuti e diventati dei creativi al soldo delle majors dell’intrattenimento cinematografico e televisivo, è magicamente stato traslato in prodotto transgenerazionale sufficientemente forte da diventare anche transmediale. E così i giocattoli per l’infanzia sono diventati emblemi della pop-culture e hanno raggiunto quello status di cult sufficiente a nobilitarli per diventare killer-app cinematografiche. Hasbro sta contando i dollari provenienti dai film di Transformers e G.I. Joe già da diversi anni, ora ci prova anche Mattel e lo fa sfoderando la loro creatura più iconica, longeva e remunerativa: Barbie.

Ma come si fa a fare un film live-action su Barbie? Si portano al cinema, con attori in carne ed ossa, le bambole che troviamo nei negozi di giocattoli con le storie e le parentele che negli anni hanno caratterizzato anche i giochi Mattel? Troppo banale, poco incisivo e già fatto con una quarantina di orribili lungometraggi d’animazione CGI indirizzati a un target prescolare.

La discriminante per fare un film che valesse la pena di produrre investendo centinaia di milioni di dollari era imbastire un progetto che si vendesse (al pubblico) sulla carta, quindi: attori sulla cresta dell’onda, un regista influente a Hollywood e tenuto in considerazione dalla critica in modo da non fare un semplice film-giocattolo a la Transformers, necessariamente donna e possibilmente politicamente e socialmente impegnata, un battage marketing imponente che potesse dare un colpo al cerchio (vendere giocattoli e film ai bambini) e l’altro alla botte (vendere il film agli adulti), possibilmente infondendo il tarlo che ci si trovasse dinnanzi a uno di quei film che devi vedere assolutamente altrimenti sei fuori dai trend della tua bolla social.

Così è stato. Una strategia a dir poco perfetta da parte di Warner Bros. e Mattel con Margot Robbie e Ryan Gosling in cima al cast, Greta Gerwig regista e co-sceneggiatrice (insieme a suo marito Noah Baumbach) e una strategia promozionale in perfetta sinergia con la casa produzione di giocattoli, da manuale del perfetto marketing manager. E il film su Barbie è un successo di critica e pubblico ancor prima di uscire al cinema.

A Barbieland ogni giornata è felicemente identica alla precedente con Barbie Stereotipo impegnata nelle cose che la rendono felice, mentre Ken si affanna per conquistarla, sgomitando contro gli altri Ken, fino alla appagante fine di giornata insieme alle numerose altre Barbie per una serata tra ragazze. Ma una mattina qualcosa per Barbie Stereotipo cambia: i suoi piedini hanno misteriosamente perso la forma arcuata, sulla sua coscia è comparsa la cellulite, non riesce a scendere dal piano superiore della sua villa fluttuando e ha degli inspiegabili pensieri di morte. L’unico modo per scoprire cosa le sta accadendo è fare visita a Barbie Stramba, che vive isolata da quando ha iniziato a comportarsi e apparire stranamente. Grazie a questa Barbie caduta in disgrazia, Barbie Stereotipo capisce che l’unico modo per impedire la sua degenerazione è andare nel mondo reale, a Los Angeles, e trovare la bambina che le sta causando il suo repentino decadimento. Così Barbie Stereotipo si mette in viaggio e porta con sé Ken…

Esattamente come era accaduto nel 1987 con lo sfortunato film su I Dominatori dell’Universo, altra importante IP della Mattel, anche per il film di Barbie si adotta il concept di portare il mondo fantastico in contatto con il reale trasportando i personaggi sulla Terra a interagire con gli umani. Ma se nel film di Gary Goddard si trattava di un’esigenza di budget perché impossibilitati ad ambientare tutta la vicenda su Eternia, nel film di Greta Gerwig c’è una precisa volontà nel far incontrare reale e immaginario così da creare un’epifania nei giocattoli, anzi, in un giocattolo in particolare: Ken. Già, perché, un po’ in contraddizione con il messaggio che il film vuole veicolare, ad un certo punto tutto ruota attorno a Ken trasformandolo, di fatto, nel personaggio scritto meglio e molto più iconico di quanto riesca a risultare la stessa Barbie.

Nell’idea di Greta Gerwig e Noah Baumbach Barbie è, tra le varie cose, una critica alla società patriarcale e riesce a gettare alcune frecciatine sagaci con un’ironia al vetriolo che nella prima metà del film è davvero centrata. Il problema è che a un certo punto, diciamo nell’ultimo atto, questa componente della sceneggiatura diventa preponderante ed implode, risulta urlatissima, didascalica, ripetitiva e, per questo, assolutamente poco efficace. Insomma, è come quando ti spiegano una barzelletta!

E così Barbie funziona a corrente alterna.

Il prologo che fa la parodia di 2001: Odissea nello spazio (già visto nel teaser trailer) per spiegare la nascita di Barbie ci conduce a una prima parte del film fresca, colorata e divertente, ricca di trovate bizzarre che strizzano l’occhio in maniera intelligente a tutti quei bambini cresciuti con la fashion doll della Mattel. Poi c’è il mondo reale, l’impatto che le bambole hanno con la realtà che irrimediabilmente crea un corto-circuito comico che 2 volte su 3 va a segno, anche se già si intuisce qualche eccesso di scrittura e di didascalismo. Infine, abbiamo la terribile parte finale, un disastro di scrittura che si piega a un moralismo urlato e assolutamente inefficace, in cui ci si dimentica perfino delle ragioni che muovono alcuni personaggi (i dirigenti della Mattel e mamma e figlia umane diventano assolutamente inutili e non riescono a concludere il loro arco narrativo).

Allora Barbie vive di due anime, c’è quella più pop – come il mondo da cui arriva – che riesce a sfoderare alcune perle trash che sicuramente si faranno ricordare; poi c’è quella “impegnata” post me-too che parte da una graffiante satira del patriarcato per arrivare a un effetto “pubblicità progresso” oggettivamente imbarazzante nonché fuori luogo. Da Zoolander a Michela Murgia nell’arco di 115 minuti, con un effetto straniante che ti dà la sensazione che anche in questo caso è mancato il coraggio di andare fino in fondo, un progetto che poteva lasciare il segno a Hollywood e invece risulta assolutamente nella media dei blockbuster contemporanei.

Margot Robbie è una Barbie incantevole e PER-FET-TA, ma Ryan Gosling, beh, Gosling ruba la scena a chiunque nella classica interpretazione che, nel bene o nel male, ormai lo avrà segnato a vita.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una prima parte frizzante e piena di idee.
  • Margot Robbie e Ryan Gosling funzionano alla grande.
  • Il film cade nel didascalico moralismo da pubblicità progresso.
  • Alla fine della fiera, quello che poteva essere un film “diverso” è un film estremamente conformato.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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