Ben-Hur, la recensione
C’è molta imprudenza nella realizzazione della nuova versione di Ben-Hur, tanta quanta l’incoscienza che sembra aver alimentato l’intera filiera produttiva che sta alle spalle di questo blockbuster che vorrebbe donare nuova vita al romanzo che Lee Wallace scrisse nel 1880. Il problema fondamentale del Ben-Hur 2016 non è tanto lo scomodo paragone con il kolossal del 1959 diretto da William Wyler e interpretato da Charlton Heston, quanto la mancanza di quell’epicità che una storia di questo tipo avrebbe richiesto.Ad occuparsi del restyling di Ben-Hur è stato chiamato il kazako Timur Bekmambetov, conosciuto soprattutto per l’action con Angelina Jolie Wanted e l’horror-action La leggenda del cacciatore di vampiri… diciamo non proprio una firma di classe, molto più attento all’estetica delle sue opere che alla pregnanza narrativa ed emotiva. La scelta della produzione su una personalità registica di tale calibro e background poteva sembrare una dichiarazione d’intenti che, a suo modo, mostrava un certo interesse perché, parliamoci chiaramente, stando al trailer tutti abbiamo pensato che il nuovo Ben-Hur sarebbe stato la festa della coattaggine, la fiera ignoranza action fatta film. E invece neanche questo tono da annunciato guilty pleasure ha salvato questo Ben-Hur, che si prende dannatamente sul serio con apoteosi di retorica e parabole da catechismo che appiattiscono la narrazione e fanno inesorabilmente cadere il latte dalle ginocchia.
La storia è giustamente più vicina al romanzo che al film di Wyler, anche se lo spettatore ha la percezione che Bekmambetov abbia fatto un riassunto del film del ’59 (poco più di 2 ore contro le quasi 4 del precedente) piuttosto che una riduzione del romanzo. Dunque seguiamo le gesta del principe Giuda Ben-Hur, residente nella provincia della Giudea che si trova sotto il controllo di Roma. Ben-Hur ha un fratello adottivo, Messala, dal sangue romano e ora arruolato nell’esercito del governatore Ponzio Pilato. Quando Messala chiede a Ben-Hur di supportare la sua missione, uno dei ribelli Zeloti attenta alla vita del governatore e per un caso fortuito a prendersi la colpa è proprio il principe, che viene fatto schiavo senza che suo fratello si opponga minimamente. Finito a remare su una galea, in seguito a un naufragio Ben-Hur viene aiutato dallo sceicco Ilderim a trovare la vendetta.
Bekmambetov abbandona il suo stile iper-cinetico e ultra-pop per cercare un rigore che evidentemente non gli appartiene. Non è un caso se la scena più bella del film è quella dell’affondamento della galea, con un impeto di personalità assente nel resto del film che ci mostra la catastrofe dal punto di vista del protagonista, come se si trattasse di un videogioco o, ancor più, il pazzesco Hardcore!, in cui lo stesso Bekmambetov figurava come produttore. Per il resto si percepisce con troppa insistenza che l’intero film è costruito sulla scena madre della corsa delle bighe, attesa, annunciata e continuamente rimandata fino al climax nel terzo atto che però non soddisfa come avrebbe dovuto. Buon montaggio e uso adeguato della CGI vanno a scontrarsi irrimediabilmente contro “l’altra” corsa con le bighe che all’epoca era un qualche cosa di straordinario perché mai visto, mentre la sua versione contemporanea è semplicemente azione nella media di un film hollywoodiano.
La costruzione semplicistica dei personaggi non è aiutata da una fretta narrativa di fondo che rende quasi incomprensibili alcuni comportamenti che, di fatto, avvengono solo perché la sceneggiatura era obbligata a seguire un dato percorso. Il voltagabbana di Messala è tanto improvviso quanto oscuro, per non parlare dei momenti in cui compare Gesù Cristo, così male inseriti, vistosamente dovuti e infelicemente enfatizzati da causare l’involontario sorriso.
Non aiuta neanche il casting, che sembra essere stato assemblato con poca cognizione di causa. Jack Huston non è malaccio con il look alla Dothraki ma non ha quel carisma che è richiesto a un protagonista, così come Toby Kebbell è un villain davvero poco incisivo e questo lo aveva già dimostrato in Fantastic Four. Non convince l’iraniana Nazanin Boniadi, che interpreta la moglie di Giuda Ben-Hur, tanto bella quanto incapace a recitare e suscita il sorriso l’onnipresente Morgan Freeman con capigliatura rasta, qui messo a interpretare lo sceicco che inizia Ben-Hur all’uso della biga.
Controfinale tremendo degno della “migliore” fiction Lux Vide per un film che sembra essere nato male e morto anche peggio, visto che si è rivelato uno dei più pesanti flop dell’anno con i soli 25 milioni di dollari incassati negli Stati Uniti, a fronte di un budget investito di un centinaio.
Roberto Giacomelli
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