Bridget Jones’s Baby, la recensione
Non si potrebbero usare toni meno che entusiastici per descrivere Bridget Jones’s Baby, terzo capitolo cinematografico dedicato alle disavventure della single più amata e famosa dei nostri tempi. Nata vent’anni or sono dalla penna di Helen Fielding, Bridget debutta sul grande schermo nel 2001. Ha poco più di trent’anni, le fattezze morbide e accattivanti di Renée Zellweger ed è contesa dall’affascinante mascalzone Daniel Cleaver (Hugh Grant) e dall’ermetico romantico Mark Darcy (Colin Firth).
Oggi gli anni sono 43, i kili di troppo scomparsi e la sua carriera in TV affermata. È ancora la stessa Bridget, che si dimena in soggiorno nel suo pigiamone anti-stupro, colleziona gaffes e non sa mai quando è il momento di tacere, ma qualcosa è cambiato: sembra aver messo una pietra sopra alla ricerca del sospirato grande amore. Tuttavia, prenderà fin troppo alla lettera il consiglio della frizzante collega Miranda (Sarah Solemani) di lasciarsi andare a qualche avventura. Complici degli inaffidabili preservativi vegani, la nostra si ritroverà incinta ma confusa sull’identità del padre.
È il guru dei rapporti di coppia Jack (Patrick Dempsey) o il grande ex amore della sua vita Mark?
Tanto si è pontificato su questo sequel, atteso allo stesso tempo con trepidazione e grande scetticismo. Tra la memoria dell’indiscutibile mediocrità di Che pasticcio, Bridget Jones! (2004) e la delusione per la piega presa dalla vita della protagonista nel romanzo Bridget Jones, un amore di ragazzo (2013), le aspettative erano cariche di pregiudizi. Grazie al ritorno alla regia Sharon Maguire, già al timone del mitico Il diario di Bridget Jones, e a un cast in forma smagliante, qualsiasi perplessità è stata invece clamorosamente smentita.
Bridget Jones’s Baby è un tornado di ritmo travolgente e di esilarante buonumore. Un’imperdibile e spumeggiante favola moderna, costruita per ritrovare la Bridget che amiamo e regalarle, finalmente, un meritato lieto fine. Renée Zellweger, affatto penalizzata dai chiacchieratissimi ritocchi estetici, torna con impagabile naturalezza nel ruolo che la ha resa una star; la Bridget quarantenne è forse meno ‘cartoonesca’ e più reale, ma non ha perso lo smalto e l’ingenua simpatia che l’hanno trasformata in un’icona in cui le donne di tutto il mondo continuano a riconoscersi.
Tra i comprimari, oltre ai tanti volti familiari, una serie di azzeccatissime new entry.
Patrick Dempsey è la nuova fiamma perfetta per mettere i bastoni tra le ruote al meno impeccabile e più ingessato Mark, e convince al punto da mettere il pubblico seriamente in difficoltà nel prevedere la scelta di Bridget. La già citata Sarah Solemani conquista col suo sguardo da spregiudicata canaglia e la sua dialettica sorniona. La vera sorpresa, però, è la ginecologa interpretata da una cinica e sarcastica Emma Thompson che, nei duetti con la Zellweger, dà vita ai momenti migliori della pellicola.
Completano l’ineccepibile ricetta di questo successo annunciato una scrittura dei dialoghi graffiante e i moltissimi momenti instant-cult, tra cui le interviste in diretta TV, con fuori onda annessi; la corsa – letteralmente – in ospedale al momento delle doglie; la folle e creativa dichiarazione di Jack a Bridget.
La comicità, stavolta più verbale che di situazione, è efficace come non mai ed è senz’altro il maggior punto di forza del film. Non manca però una riflessione sull’amore maturo carica di tenerezza e che, sebbene non immune da un pizzico di melassa, avvolge il cuore di confortante speranza. E, per una volta, non ci dispiace affatto!
Bridget Jones’s Baby, in sala dal 22 settembre con Universal Pictures, è l’ideale coronamento delle peripezie di una protagonista divenuta alfiere archetipico di ogni donna genuinamente imperfetta, nonché il perfetto e brillante saluto a un personaggio così assurdo eppure così familiare. Una commedia da non perdere, che siate innamorate o rassegnate; sentimentali o misteriosi; team Jack o team Mark.
Chiara Carnà
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