Bussano alla porta, la recensione
Se ti dicessero che il destino dell’umanità dipende da una tua scelta e quella scelta riguarda l’incolumità tua o dei tuoi cari cosa faresti? Salveresti il mondo o, più egoisticamente, penseresti a te alla tua famiglia? Questo è l’annoso dilemma che muove la meccanica narrativa alla base di Bussano alla porta, il nuovo thriller di M. Night Shyamalan, ovvero Mr. Ending Twist, come è conosciuto nell’ambiente, un autore che negli anni ha costruito un vero e proprio marchio di fabbrica con una dialettica riconoscibile e molto apprezzata dagli spettatori.
Nel caso di Bussano alla porta, il fardello della scelta cade su Andrew ed Eric una coppia che sta passando un weekend di relax nella baita in montagna che hanno affittato insieme alla loro figlioletta Wen. Ma la situazione precipita quando quattro sconosciuti, guidati dal massiccio Leonard, bussano alla loro porta dopo aver già interagito con la bambina nel bosco: la loro visita coincide con l’annuncio dell’Apocalisse. Leonard spiega a Eric e Andrew che dovranno fare una scelta, uno di loro tre dovrà morire per mano di un altro della famiglia, l’unico modo per scongiurare che l’umanità vada in contro alla fine che, da alcuni segnali, sembra essere già iniziata. Ovviamente Andrew ed Eric non crederanno alle parole dell’uomo e alla sua strampalata profezia, ma più passano le ore più il sacrificio sembra inevitabile…
Shyamalan l’ha fatto di nuovo: ha realizzato un film destinato a dividere il pubblico. Bussano alla porta è un’opera che può piacere grazie al suo ineccepibile ritmo narrativo e al concept accattivante, ma può anche infastidire qualcuno per il messaggio “biblico” che fa suo e per una sostanziale mancanza di sorprendenti twist narrativi. Quindi prendere o lasciare.
Ispirato liberamente al romanzo di Paul G. Tremblay La casa alla fine del mondo, Bussano alla porta è l’ideale punto d’arrivo di una trilogia che Shyamalan ha costruito negli anni, quella iniziata nel 2002 con Signs e proseguita nel 2008 con E venne il giorno. Bussano alla porta, infatti, come i due film che l’hanno preceduto, racconta la fine dell’umanità, o meglio l’ipotesi di un’Apocalisse, che lì era rappresentata dall’arrivo degli extraterrestri e dalla rivolta della Natura, qui da una minaccia più grande e indefinita nonché mistica. Ma in tutti i casi, la fine del mondo è inquadrata con sagace e chirurgico minimalismo dal punto di vista di una famiglia chiamata a fare i conti con i propri fantasmi e con la propria fede.
Considerando l’aspetto religioso, che in Bussano alla porta è il vero leitmotiv alla base del meccanismo narrativo, questo film richiama davvero molto i temi di Signs che partivano da un conflitto con la fede e implicavano proprio il fardello di una profezia. Con sensibilità e intelligenza, l’autore de Il sesto senso qui incentra tutto racconto sul dubbio insinuandolo nello spettatore così come nei suoi personaggi e in particolare in Andrew. La religione e la fede non sono messi in dubbio in Bussano alla porta, quello interpretato da Ben Aldridge non è come il personaggio che in Signs era interpretato da Mel Gibson, non c’è una ricerca della fede perduta ma un semplice distacco laico e razionale da quell’impianto fantastico e religioso.
Nella vita di questa coppia piomba il caos, l’inaspettato, una terribile minaccia che può essere anche letta realisticamente come una presa di posizione contro il loro status di coppia omosessuale nonché genitori adottivi di una bambina, non a caso sopravvive fine all’ultimo una backstory sull’identità celata di uno degli ospiti, forse responsabile di una vecchia aggressione omofoba ai danni di Andrew. Ma Bussano alla porta, a poco a poco, svela le sue carte che sono sì legate all’immaginario fantastico ma, come ogni buon film di genere ci insegna, raccontano anche altro, fornendo allo spettatore diverse e profonde chiavi di lettura.
A me piace vedere nel nuovo film di Shyamalan un’allegoria della fiducia verso l’estraneo che è andata a perdersi a causa della recente pandemia e dei meccanismi di terrore che si sono innescati verso gli sconosciuti. Leonard e i suoi “colleghi” sono quegli estranei da cui è meglio diffidare, i portatori di un messaggio che non si condivide e che non si è aperti ad ascoltare. Ascoltare è il termine chiave: essere disposti a comprendere il punto di vista di chi la pensa diversamente da noi. Shyamalan porta tutto questo fino all’estremo, come è giusto che sia per un thriller/horror, ma gira continuamente attorno a questi concetti: la fiducia, la fede e la predisposizione all’ascolto, che si uniscono all’amore per i propri cari e al punto di rottura a cui si è disposti ad arrivare per difenderlo.
L’abilità di questo regista è, come al solito, grandissima per come sa giocare con le emozioni e le aspettative; e Bussano alla porta riesce a creare una tensione incredibile generata dall’empatia che si viene a creare tanto con i protagonisti quanto con gli antagonisti, che mai come in questo caso sono intercambiabili.
Una menzione speciale agli interpreti, tutti bravissimi e centrati, anche se nel cuore dello spettatore non potrà che rimanere Leonard, l’energumeno tatuato e cautamente minaccioso interpretato da Dave Bautista.
Non aspettatevi colpi di scena sconvolgenti, Bussano alla porta non è Il sesto senso, ne The Village o Unbreakable, ma un onesto e tesissimo thriller che parte da una situazione da home invasion per virare poi in territori più intimi e spirituali. Sicuramente il più “biblico” dei film di Shyamalan ma anche quello più delicato, personale e accorato tra quelli realizzati nella seconda parte della sua carriera.
Roberto Giacomelli
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