Censor, la recensione

La nostalgia sempre più crescente dei tempi passati e – diciamola tutta – la ormai latente mancanza di idee nuove e fresche, ha spinto il genere horror, sulla falsa riga di altri campi artistici, a rivisitare e far respirare alle future generazioni il suo decennio più florido e redditizio di sempre: i magnifici anni Ottanta. Un periodo ricco di icone immortali e di capolavori da tramandare alle nuove leve, che negli ultimi tempi sta vivendo una seconda vita grazie ad una miriade di film e serie tv la cui ossatura si poggia sul canovaccio narrativo tipico di tale epoca. Teen-ager contro mostri famelici e alieni, killer mascherati alla maniera di Halloween e Venerdì 13, il tutto incastonato in atmosfere dai toni mai eccessivamente brutali, a volte leggeri e scanzonati, a volte portati all’eccesso ma patinati.

Ma gli anni Ottanta non sono stati solo questo. Vi è, infatti, un “other side” decisamente più oscuro e tormentato per il cinema di genere la cui vita non è stata resa facile da una censura spietata e feroce, soprattutto in Gran Bretagna, che ha costretto molti film a diffondersi attraverso canali clandestini e un sottobosco, quello dei cosiddetti “video nasties”, nel quale ci si poteva imbattere in violenze di ogni tipo.

Un clima cupo e marcio che funge da ispirazione per Prano Bailey- Bond che per il suo esordio alla regia, dal titolo emblematico Censor, parte da un periodo così ostile al genere horror per raccontare una storia inquietante, sia dal punto visivo che dell’impatto psicologico, delirante e cupa nella sua evoluzione. Descrizione che rende subito l’idea di come il lavoro della giovane regista britannica sia ben riuscito e rappresenti un tentativo di portare sullo schermo un argomento suggestivo e tutt’altro che banale, intuizione che si rivela vincente per un film che ha riscosso parecchi consensi all’ultimo Sundance prima e al NIIF poi.

Enid è un integerrimo e scrupoloso membro della commissione censura britannica, il cui compito è quello di guardare film violenti e tagliare le scene più brutali e ipoteticamente deleterie per il pubblico giovane. Dedita ad una vita solitaria e ritirata, la protagonista vede stravolgersi la sua quotidianità quando assiste ad un film di un regista semi-sconosciuto, Frederick North, che le porta alla mente tragici eventi passati. Inizia così per Enid un lungo e logorante viaggio nei meandri del passato e della sua psiche.

Negli ultimi anni il cinema horror ha avviato un processo di riflessione su sé stesso, portato avanti da registi che nei loro film si divertono a rimescolare le carte, rielaborare gli stilemi del genere e a proporre un’autoironica, divertente e divertita critica al mercato contemporaneo la cui qualità media dei titoli è ormai stereotipata e troppo incline a un’estetica dozzinale. Ma se questa nuova corrente stilistica ha sempre limitato il suo raggio d’azione all’interno del proprio recinto, Bailey-Bond decide di varcare tali confini e allargare la riflessione sul rapporto che l’horror ha avuto con le politiche di censura e con i presunti effetti negativi che potevano causare nelle menti delle persone. La regista di origini gallesi, infatti, inserisce il suo Censor all’interno di un contesto sociale molto turbolento e avvelenato e segue le vicende di una protagonista solo in apparenza incanalata in quegli schemi morali rigidi imposti dai poteri forti inglesi.

L’immagine rigorosa e irreprensibile di Enid viene messa a dura prova dalla visione di un film horror che trascina la donna in una discesa negli inferi del suo inconscio più nascosto con conseguenze tragiche e paradossali, se si pensa che proprio chi è deputata a tagliare le scene violente non riesce a rimuovere dalla sua mente immagini e ricordi violenti e malsani. Un processo lento e inesorabile che la regista è brava a rendere coinvolgente e teso sia grazie ad una sceneggiatura che sa gestire bene quasi tutti gli sviluppi della storia e creare la giusta suspense, sia per merito di un impianto visivo coerente con i momenti del film.

Menzione speciale per la fotografia, realizzata da Annika Summerson, che alterna colori freddi e realistici ad altri decisamente più accesi e irrealistici, manifestando così una scelta ben precisa volta a immergere in un primo momento lo spettatore nel contesto storico di riferimento per poi trascinarlo nella piega inquietante e delirante che assume la protagonista.

Un altro grande punto forte di Censor è la presenza di un cast all’altezza della situazione, su tutte Niamh Algar, bravissima a calarsi alla perfezione in un personaggio molto più complesso e tormentato di quello che sembra e segnato dalla visione giornaliera di immagini violente e manipolatrici. Performance resa ancora più di valore dalla metamorfosi anche sul piano estetico di Enid, coerente con il suo scontro con i demoni del passato e sensi di colpa: il look da impiegata modello viene infatti ben presto sostituito da quello da paladina dei film horror con capelli scompigliati e sangue in abbondanza sul viso e sui vestiti.

Le uniche pecche del lavoro della giovane regista si ravvisano non tanto nella gestione delle scene di tensione, che sono realizzate con attenzione e stile, bensì nella poca cura nel disseminare indizi e colpi di scena la cui prevedibilità rende leggermente meno efficace un finale ottimo dal punto di vista emotivo e psicologico, ma poco sorprendente da quello strettamente narrativo.

Censor, in conclusione, è un film dalla buona riuscita e una metafora del conflitto tra il perbenismo e il rigore morale e il cinema di genere. Insomma, Bailey-Bond ha saputo giocare su un terreno ostile e tirarne fuori un horror di grande gusto e qualità.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • L’interpretazione della protagonista è magistrale e rispecchia al meglio l’evoluzione del personaggio.
  • Scene di tensione ben gestite e mai sopra le righe.
  • Ottima la descrizione del contesto socio–politico nel quale è inserita la storia.
  • Gli indizi e i coli di scena non sono sempre inseriti con cura e il finale non è imprevedibile come dovrebbe.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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