Il diritto di contare, la recensione

Quanto valiamo? Quanto contiamo? Quanto pesa una persona? Uno vale uno, si sa. Si sono spesi fiumi di parole e versati fiumi di sangue a Parigi, alla fine del diciottesimo secolo, proprio per sostenere ed imporre questo diritto: un voto a testa, non per ordine. Argomenti tanto antichi che possono trarre in inganno, dandoci l’impressione che siano assodati e sicuri. Non è così. Non era almeno così negli Stati Uniti di fine anni 50’ e primi 60’. Ventesimo secolo. Andiamo per ordine: schiavitù abolita nel 1865 col tredicesimo emendamento (per saperne di più andate a vedere Lincoln, di Steven Spielberg, col gigante Daniel Day-Lewis nei panni del sedicesimo Presidente degli States). Alla schiavitù si avvicenda la segregazione, un’altra brutta pagina fatta di razzismo, violenza e intolleranza. È operata dai bianchi degli Stati del sud nei confronti dei neri nel sud. Una storia spregevole, fatta di notevole valenza. Rilevante, essenziale per il diritto di essere. Il diritto di valere, di contare.

La cinematografia ultra contemporanea non si è tirata indietro dalla volontà di ripercorrere la storia del razzismo statunitense e dei protagonisti che lo fronteggiarono. A memoria le ultime pellicole: il Lincoln di cui sopra, Django Unchained, 12 Anni Schiavo, Selma e ora il Diritto di Contare. Cinque film, cinque anni e trentuno candidature agli Oscar. 31! Argomento mai banale. Lo avrà pensato sicuramente il creatore de Il Diritto di Contare, Theodore Melfi, regista, produttore e sceneggiatore della pellicola.

L’ennesimo lavoro sull’argomento, tuttavia, non si spinge verso praterie inesplorate. Non condanna la violenza psicologica con idee e strumenti diversi. È un classico compito a casa che non prenderà mai e poi mai l’insufficienza, ma non farà gridare al capolavoro i critici cinematografici. Mai un voto inferiore al “Sei” perché il film è costruito bene registicamente parlando, comprende una convincente colonna sonora, ha buone prove attoriali – eccezion fatta per Kevin Costner, ancora una volta fantasma di sé stesso – e anche se alcune aree tecniche non sono all’altezza (il montaggio, ad esempio, prende alcune cantonate pazzesche; la fotografia non esplode, come si confà al tema), in generale il film è più che apprezzabile.

Qualora vogliate passare un paio di orette al cinema ed andare sul sicuro, questo è il film per voi. Ma non è una scommessa. Stilisticamente, Melfi compenetra buone riprese ad alcuni filmati storici come quelli con protagonisti John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King. È sicuramente la sua prova più riuscita, a livello di lungometraggio (è regista di ben quattro corti, tra il 2005 e il 2010). Tuttavia è verosimilmente proprio nella sceneggiatura che si incontrano i ‘grandi’ problemi della pellicola.

La storia (vera) ha dell’incredibile, per il tempo. Alcune donne nere della NASA diventano fondamentali per il lancio nello spazio dei piloti statunitensi. Siamo in piena guerra fredda e l’esigenza di contrastare l’Unione Sovietica è sempre più necessaria. Mosca invia Laika e Jurij Gagarin nel sistema solare e Washington come risponde? Ma siamo anche nel periodo della desegregazione e le vicende di politica interna ed estera rischiano di far diventare gli States una polveriera. È così negli stati del sud, ma alla NASA c’è la necessità di collaborazione. Magari non troppo evidente, in quanto il risentimento e l’intolleranza nei confronti dei neri restano ancora sentimenti forti. Katherine Johnson, una timida matematica interpretata da un’efficace Taraji P. Henson, viene sbattuta dentro un centro di calcolo vissuto da uomini bianchi. Al primo impatto viene scambiata per la signora delle pulizie ed è tutto un dire. La sua amica, Mary Jackson (Janelle Monàe) è un’ingegnera a cui osteggiano l’iscrizione al Corso di Laurea in Matematica e Fisica nell’Università della Virginia che le permetterebbe di qualificarsi per un livello superiore alla NASA. La terza, Dorothy Vaughan (una straripante Octavia Spencer, candidata all’Oscar come migliore attrice non protagonista) viene delusa volta dopo volta dall’impossibilità di accedere al ruolo a cui aspira. “Dovreste essere felici per il lavoro che avete”, dice il capo del personale Vivian Mitchell (Kirsten Dunst). Come a dire: “siete nere, è già davvero tanto quello che potete maneggiare qui. Accontentatevi”. Ma come accontentarsi di avere spogliatori per neri, libri per neri, bevande per neri e bagni a distanze chilometriche per neri?

È proprio per causa di questo accanimento che il film non esplode, non convince pienamente. Non ha niente di nuovo, è un metodo fin troppo utilizzato e consueto sui temi di integrazione razziale: sottostimare una minoranza (i neri, in questo caso, piuttosto che gli ebrei, i messicani, gli italiani o i tedeschi in altre situazioni) attraverso condotte vessatorie gratuite che portano il pubblico in sala a tifare spudoratamente per la parte oppressa. Un antico modo di fare cinema visto e rivisto.

Melfi, così facendo, suscita una contrapposizione così palese che impone buoni e cattivi. Pilota il pubblico a prendere le parti di una fazione, quella nera, oppressa: gli unici personaggi che sostengono questa parte sono costruiti per essere belli, carismatici e simpatici. Coloro che invece osteggiano queste ‘figure nascoste’ (da qui il titolo originale, Hidden Figures) sono personaggi dal fare burocratico, con poca autorità ed influenza, oltre ad essere insopportabili e fastidiosi. L’accanimento sulle tre figure principali risulta noioso, visto e rivisto.

Dall’altra parte la costruzione tecnica della pellicola (regia, parti attoriali e colonna sonora) è di notevole livello. Un connubio che certamente porta il film oltre la sufficienza, ma che non gli permette di sedersi sull’Olimpo delle pellicole inerenti quella brutta pagina dal nome ‘razzismo’.

Daniele Errera

PRO CONTRO
  • Farsi un’idea di parte degli Stati Uniti tra gli anni 50’ e 60’.
  • Una colonna sonora jazz azzeccata.
  • Brave le tre protagoniste.
  • Si finirà per parteggiare per una parte.
  • Metodi obsoleti, ormai superati.
  • Kevin Costner.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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