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Il diritto di contare, la recensione

Quanto valiamo? Quanto contiamo? Quanto pesa una persona? Uno vale uno, si sa. Si sono spesi fiumi di parole e versati fiumi di sangue a Parigi, alla fine del diciottesimo secolo, proprio per sostenere ed imporre questo diritto: un voto a testa, non per ordine. Argomenti tanto antichi che possono trarre in inganno, dandoci l’impressione che siano assodati e sicuri. Non è così. Non era almeno così negli Stati Uniti di fine anni 50’ e primi 60’. Ventesimo secolo. Andiamo per ordine: schiavitù abolita nel 1865 col tredicesimo emendamento (per saperne di più andate a vedere Lincoln, di Steven Spielberg, col gigante Daniel Day-Lewis nei panni del sedicesimo Presidente degli States). Alla schiavitù si avvicenda la segregazione, un’altra brutta pagina fatta di razzismo, violenza e intolleranza. È operata dai bianchi degli Stati del sud nei confronti dei neri nel sud. Una storia spregevole, fatta di notevole valenza. Rilevante, essenziale per il diritto di essere. Il diritto di valere, di contare.
St. Vincent, la recensione

A volte ci rendiamo conto come basti un attore per rendere un film diverso da quello che sarebbe potuto essere. Parafrasando un neanche troppo vecchio tormentone lanciato da Adriano Celentano, c’è chi è lento e chi è rock. St. Vincent è lento, Bill Murray è rock, il che trasforma, per estensione, St. Vincent in rock.
La deliziosa commedia agro-dolce di Theodore Melfi è fatta dagli attori e, in particolare, dall’Attore, quel Bill Murray qui protagonista che difficilmente non riesce ad elevare con la sua presenza un film.