Dolittle, la recensione

Era il 1920 quando andò per la prima volta alle stampe La storia del Dottor Dolittle, primo dei 14 volumi firmati dallo scrittore inglese Hugh Lofting e dedicati all’immaginario medico naturalista che aveva la facoltà di comunicare con gli animali. Lofting creò Dolittle durante il suo servizio militare, nel bel mezzo delle trincee della Prima Guerra Mondiale, inserendo il personaggio che gli fu ispirato dal chirurgo scozzese John Hunter in situazioni avventurose e fantastiche per fuggire dagli orrori quotidiani della guerra.

La fortuna di Dolittle però non è stata solo letteraria, dal momento che il materiale di Lofting ha fornito ispirazione a molteplici altri media, tra cui il cinema, in cui svetta la prima trasposizione in lungometraggio del 1967 Il favoloso dottor Dolittle, diretto da Richard Fleischer, interpretato da Rex Harrison e vincitore di ben due premi Oscar. Tra tv e teatro, John Dolittle è riuscito a tornare al cinema nel 1998 con Il dottor Dolittle, interpretato da Eddie Murphy e ambientato ai giorni nostri, dove la carica avventurosa delle storie originarie era stata sacrificata alle dinamiche della commedia tipica dell’attore di Beverly Hills Cop.

Ora la storia si ripete e il medico che vive nei pressi della Londra Vittoriana ed è capace di parlare con gli animali è nuovamente protagonista di un blockbuster che ritrova la fedeltà alle opere di Hugh Lofting e guadagna il volto del beniamino dei Marvel Studios Robert Doweny Jr. con Dolittle.

Qualche cosa però è andato storto e quello che sulla carta poteva essere un gran bel film d’avventura per famiglie è diventato un mostro di Frankenstein dalla produzione travagliata e i risultati pressoché disastrosi, sia qualitativamente parlando che di performance al botteghino.

Il regista e sceneggiatore Stephen Gaghan, artefice di Syriana e vincitore di un Oscar nel 2001 per la sceneggiatura di Traffic, aveva in mente un film ben preciso che non fosse solo un giocattolone da dare in pasto ai bambini la domenica pomeriggio ma potesse riflettere su un aspetto particolare della storia di Dolittle che fino ad ora non era mai stato esplorato dal cinema, ovvero la morte della moglie Lily. Nel film, infatti, dopo un suggestivo prologo a cartone animato che racconta le avventure pregresse di John e sua moglie, troviamo il dottore in uno stato di auto-isolamento nella sua tenuta del West Country inglese, con aspetto trasandato, qualche rotella fuori posto, circondato dagli animali e fondamentalmente ancora incapace di superare la morte di Lily avvenuta sette anni prima. Solo la visita di un ragazzino che ha per sbaglio ferito uno scoiattolo e ora chiede il suo aiuto lo sveglia dal torpore della perdita, a cui segue poi una richiesta d’aiuto addirittura da Buckingham Palace, dove la giovane regina è vittima di una indecifrabile malattia. A questo punto, nonostante la resistenza iniziale, John viene spronato all’avventura nella ricerca del frutto del leggendario Albero dell’Eden, unico antidoto per curare la Regina da un avvelenamento doloso di cui si cercano i responsabili.

Una storia abbastanza semplice per i bambini ma sufficientemente articolata per intrattenere anche gli adulti in cui Gaghan aveva accentuato lo stato depresso di John Dolittle e la sua difficoltà nell’elaborare la morte della moglie (che, in quelle poche scene che si vede, ha le fattezze di Kasia Smutniak), un tono gravoso che non è piaciuto alla produzione e non ha soddisfatto i test screening tanto da spingere la Universal a spendere altri soldi e quasi un mese di riprese aggiuntive con il regista di Tartarughe Ninja Jonathan Liebesman per rendere Dolittle meno malinconico e più a portata di bambino.

Cambi in corsa che si notano tutti nel risultato finale, colpevole di un tono schizofrenico e un montaggio delle scene davvero mediocre.

Se il primo quarto d’ora, in fin dei conti, fa ben presagire per il proseguo nonostante le scene “comiche” con gli animali parlanti non siano tutte felicemente riuscite (molto carina la gag dell’anatra storpia Dab-Dab doppiata in originale da Octavia Spencer, meno l’arroganza dello struzzo Plimpton e il gorilla fifone con la voce di Rami Malek alla lunga stanca), ma quando il film entra nel vivo e inizia l’avventura tutto si inceppa e quello che non riesce ad emergere è l’avventura stessa.

Dolittle, infatti, non ha ritmo e nonostante non annoi mostra il fianco proprio lì dove dovrebbe emergere, nelle scene spettacolari e nel senso avventuroso che la storia rincorre. La lunga sequenza nell’Isola di Monteverde, su cui regna un Antonio Banderas con movenze spudoratamente ricalcate su Jack Sparrow, è fiacca, visivamente bruttina e anche i molti effetti visivi risultano mediocri. C’è poi un’ellissi temporale e geografica ingiustificata che porta il film da questo punto direttamente all’ultimo atto come se mancasse un intero blocco della storia e così ci troviamo all’epilogo in cui viene perfino tirato in ballo un drago sputafuoco costipato che prevede l’intervento del “medico” Dolittle… e qui si tocca il punto più basso, vi avviso.

Alla fine, nessun personaggio riesce davvero ad emergere, a cominciare dal giovane Tommy Stubbins (interpretato da Harry Collett di Dunkirk) che dovrebbe essere il punto di vista sull’intera storia, per non parlare di Michael Sheen villain macchietta di cui il film a un certo punto si proprio dimentica (e riprende scelleratamente dopo i titoli di coda, quindi non uscite dalla sala!). Robert Downey Jr., che il film l’ha pure prodotto, ci mette la sua solita presenza scenica, il carisma e la professionalità generale, anche se in alcuni punti il suo Dolittle ricorda molto il suo Sherlock Holmes… ma se volessimo salvare il film, certamente il protagonista sarebbe la prima cosa da lodare.

Dolittle si è rivelato un clamoroso flop al botteghino e oltre alla pioggia di critiche negative dei professionisti ha anche mandato Universal Pictures in perdita di circa 100 milioni di dollari. Questo è un destino abbastanza scontato per quei film dalla produzione travagliata su cui i produttori si ostinano a mettere mano più e più volte, quasi sempre con risultati che abbassano il valore artistico dell’opera. E il pubblico reagisce di conseguenza.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Robert Downey Jr. ci mette la solita classe e professionalità.
  • È tutto molto confuso…
  • Alcune gag troppo infantili non sono affatto riuscite.
  • I personaggi non sono approfonditi.
  • Gli effetti visivi sono bel al di sotto delle odierne possibilità.
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