Elvis, la recensione
La vita di Elvis Presley è stata mestamente breve, ma talmente roboante che nessun biopic sarebbe stato capace di contenerla tutta. Ma il regista australiano Baz Luhrmann pare abbia trovato la chiave giusta. Chi altri meglio di lui poteva raccontare un personaggio così eccessivo, faticoso, esuberante e spropositato come il Re del Rock ‘n Roll?
Elvis, infatti, non è un biopic come altri e non vuole affatto esserlo. La prima parte del film è talmente kitsch, forsennata e decisamente “too much” che mette subito in chiaro le sue intenzioni con lo spettatore: “Stiamo parlando di Elvis, il più grande uomo di spettacolo al mondo. Cosa ti aspetti?”.
E poi, insomma, Baz Luhrmann non ci ha abituati a nulla di diverso.
Stiamo parlando di un film faticoso, ma indubbiamente coinvolgente, che esprime nella messa in scena tutta la logorante vita di Elvis Presley, e lo fa senza risparmiarsi, così come l’artista non si risparmiava mai sul palco, regalando ai suoi spettatori il miglior spettacolo di sempre.
Ogni singola scena è carica di meraviglia, grazie alla potenza di una regia che sa bene come utilizzare e mescolare insieme una fotografia accesa, una colonna sonora quasi disorientante insieme a un montaggio stordente e costumi e scenografie da capogiro.
Tutto per restituire, nel modo migliore possibile, il quadro emotivo estremamente forte nel quale l’artista ha vissuto per tutta la propria vita.
Elvis tratta la storia di una vita incredibile, narrata dal suo antagonista, il colonnello Parker, interpretato da un Tom Hanks spietato e viscido come non è mai stato. È la storia di un talento unico, tanto immenso che se messo nelle mani sbagliate poteva essere distruttivo, proprio come è accaduto.
Un giovane artista entusiasta e ingenuo da un lato, un furbo affarista speculatore dall’altro.
Luhrmann attua verso Parker un vero e proprio atto d’accusa, ma rendendolo narratore gli dà in qualche modo possibilità di difesa.
Elvis Presley faceva parte di una famiglia molto povera, costretta a trasferirsi a Memphis, in un quartiere nero, per riuscire a pagare l’affitto. È qui che il mito prende forma. Il giovane Elvis, infatti, affascinato dalla musica nera, così vitale e peccaminosa, senza ipocrisie e pregiudizi, comincia a costruire il suo stile musicale unico, facendosi notare da lì a poco.
Non è difficile adocchiare un talento come il suo, e quando una piccola casa di produzione gli permette di incidere le prime hit da radio e fare i primi concerti, diventa subito un sex symbol, idolatrato dalle ragazzine e visto in malo modo dai benpensanti dell’epoca per le sue movenze “oscene”.
La stampa ne parla e il colonnello Parker fiuta subito l’odore dei soldi che potrebbe fare avendo tra le mani un talento simile e, da bravo imbonitore, se ne impossessa con il benestare di tutta la famiglia Presley.
Elvis era privo di ogni spirito imprenditoriale, incapace di gestire da solo il suo talento e il denaro che non ha tardato ad arrivare.
È così che presto la sua carriera si trasforma quasi in un soffocante lavoro da ufficio, per poter assicurare una routine finanziaria costante e soddisfare i vizi del colonnello, della sua famiglia e dei suoi amici d’infanzia, che ormai vivevano completamente a sue spese.
Una routine opprimente che lo porta a rinunciare al sogno di un tour internazionale, e che lo porta man mano alla distruzione fisica, artistica e morale, fino al punto che la ricchezza e la fama non bastavano più, soprattutto dopo la rottura con l’amore della sua vita, Priscilla.
Elvis, quindi, racconta una vita luccicante solo dall’esterno e ci restituisce il ritratto di un artista profondamente solo, circondato da persone che fanno parte della sua vita solo perché dipendenti economicamente dalla sua arte e dalla sua, forse involontaria, generosità.
Elvis non è solo un biopic o un semplice film musicale, ma un vero e proprio tributo, forse l’unico possibile, ad un artista tanto grande e indimenticato, attraverso la sua musica, ma anche e soprattutto attraverso il concetto più estremo di spettacolo che ha sempre fatto parte della sua arte.
E come non soffermarsi sull’incredibile performance di Austin Butler? L’attore di The Shannara Chronicles e C’era una volta a… Hollywood non si limita a vestire i panni di Elvis, ma lo diventa, grazie ad un lavoro eccezionale sulla sua voce, all’estrema somiglianza fisica e, soprattutto, grazie alla maturità con cui affronta il personaggio.
Fatevi abbagliare dalla vita sbrilluccicosa e rumorosa di Elvis, al cinema dal 22 giugno!
Rita Guitto
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