Fubar: l’atteso e grandioso ritorno di Schwarzy

Nel 2010 Sylvester Stallone ha diretto quel capolavoro action dalle vibes rétro che è I MercenariThe Expendables di cui forse non tutti hanno ancora capito l’inestimabile valore simbolico e propulsivo; infatti sono bastati i tre minuti dell’iconica scena in cui Sly e Arnold Schwarzenegger si punzecchiano davanti a Mister Church (Bruce Willis), per far risorgere dalle proprie ceneri i machissimi divi degli anni ’80, a cominciare da quel vecchio Terminator di Schwarzy. Il poliedrico attore austriaco, infatti, una volta dimessi i panni da governatore della California, ha deciso di rimettersi in pista e dopo aver lavorato in action di non troppo spessore è riuscito a ritrovare la sua grande occasione nella scoppiettante serie tv Fubar, ideata per Netflix da Nick Santora e rilasciata questo 25 maggio.

Luke Brunner (Arnold Schwarzenegger) e il suo amico Barry (Milan Carter) sono il miglior team della CIA; dopo anni di onorato servizio in giro per il mondo, finalmente si avvicina il giorno della pensione e Luke non vede l’ora di recuperare il tempo perso con la propria famiglia, che ancora crede che lui sia un venditore di articoli sportivi.

I suoi programmi vanno in fumo quando gli viene affidata un’ultimissima missione: recuperare un nuovo agente disperso in Sud America e fermare Boro (Gabriel Luna), trafficante di armi internazionale e figlio di un criminale eliminato dallo stesso Luke.

Per il nostro protagonista questo compito di ordinaria routine subisce una svolta inaspettata quando scopre che l’agente che deve andare a salvare altri non è che la propria adoratissima figlia Emma (Monica Barbaro) che lui ha sempre creduto una ragazza introversa e diligente.  Passato lo sconcerto generale i due, tra una recriminazione e l’altra, si vedono costretti a collaborare e riescono a mettersi in salvo; ma non è finita: la CIA decide di farli lavorare in coppia e li incarica di assicurare Boro alla giustizia.

Inizia così un percorso di inseguimento internazionale che non si vedeva dai tempi di Che fine ha fatto Carmen Sandiego?  in cui padre e figlia dovranno ricostruire un rapporto non più basato sulle menzogne ma sulla fiducia reciproca.

A partire da questa premessa, gli otto episodi della serie si dipanano in delle mini-missioni sparse per il mondo e volte a interrompere i piani di Boro che, da vero villain, non finisce mai di orchestrare contorti piani per fare del male a più persone possibili. È d’uopo quindi osservare che la produzione, sfruttando al meglio il format delle serie tv, non ha fatto altro che miscelare tutti gli stilemi dei film action da quarant’anni a questa parte e shakerarli con una sana dose di consapevolezza psicologica, che in casa Netflix non manca mai.

Prima ancora della sceneggiatura e della costruzione dei personaggi, infatti, ciò che cattura l’attenzione dello spettatore è la magnifica “coreografia” delle scene d’azione e soprattutto la ricchezza delle scenografie che variano di episodio in episodio. Stiamo parlando di studiatissimi scenari in cui la direzione artistica, e soprattutto il budget, forniscono molteplici situazioni in cui l’attenzione dello spettatore viene letteralmente deviata dalle peculiarità della messa in scena visiva e quindi incoraggiata a non soffermarsi troppo sulla povertà dello screenplayer.

Nel 2023 non si può più giustificare una scrittura stereotipata di alcuni personaggi col fatto che essi compaiano in un film action, perché Tarantino è studiato nelle università da circa un ventennio e anche l’ultimissimo Bullet Train ha saputo arricchirci con intrecci che altri non erano che steps di una maturazione dei vari personaggi. Rammentando quindi che Fubar rimane comunque un prodotto spumeggiante, probabilmente indirizzato a un target più tardo-adolescenziale che davvero adulto, non come i veri film badass degli anni ’80, non si può non evidenziare quanto la caratterizzazione dei protagonisti possa risultare basilare.

L’intramontabile Schwarzy prende sulle sue spalle tutti gli stereotipi negativi dell’eroe nudo e puro della vecchia scuola “scheggia-denti” e viene rappresentato a tratti come il babbione macho e retrogrado che deve ancora accettare il fatto che la sua bambina fumi e dica le parolacce -per non parlare dell’ipotesi non troppo remota che lei possa usare il proprio corpo per servire lo stato-  e questo, sebbene nelle dinamiche della trama serva anche ad alleggerire la tensione, fa di lui il principale giullare rispetto alle spalle comiche di ordinanza come il nerd Barry e tutto lo staff della CIA.

La figura della figlia Emma non sembra del tutto costruttiva, essa appare più come la tipica millenial spocchiosa che è costretta a insegnare agli altri come ci si comporta nei tempi moderni e soprattutto non smette mai di incarnare il famigerato strong female character simpatico un po’ di più di una gomitata sugli incisivi ma poco meno di Captain Marvel.

Tirando le somme, Fubar è in sostanza un simpaticissimo film action di otto ore, in cui tutta la narrativa di genere del passato viene rielaborata e “depurata” tramite la cornice dell’attualissimo conflitto generazionale sia tra boomer e millenials che tra genitori e figli; attendiamo dunque la richiestissima seconda stagione per vedere gli sviluppi possibili.

Ilaria Condemi de Felice

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