Hereditary – Le radici del Male, la recensione

Quello che sta accadendo al cinema horror ha dell’interessante. Parallelamente alle produzioni mainstream per il pubblico da multisala, solitamente rappresentate dai film della Blumhouse o quelli del Conjuring-verse della Warner Bros, viaggia uno sparuto gruppo di opere destinate a un pubblico più “selezionato”, amanti di quell’horror d’autore che va oltre la sola esperienza di visione in sala. Si tratta di prodotti selezionati in festival non essenzialmente di settore (come Sundance, Cannes, Venezia), spesso di autori esordienti o anche di affermati artisti. Oggi questo sempre più folto numero di film, dei quali fanno parte opere come Babadook, It Follows, The VVitch, Il sacrificio del cervo sacro, si arricchisce di Hereditary – Le radici del male, acclamato esordio alla regia di Ari Aster.  

Presentato all’ultimo Sundance Film Festival e già detentore di un record come horror con punteggio globale più alto nei vari aggregatori di giudizi critici (89% di giudizi positivi su Rotten Tomatoes, 87 su Metacritic), Hereditary è un piccolo capolavoro della suggestione, un film che riesce ad esplorare alcune tematiche sgradevoli e toccare corde di perfidia ma con un’eleganza e un’intelligenza ammirevole.

Ellen Graham muore e lascia sua figlia Anne ad elaborare il lutto per una genitrice con cui ha sempre avuto un rapporto conflittuale. Ma in casa Graham cominciano ben presto a verificarsi inquietanti eventi, che vedono al centro proprio Anne e i suoi due figli, la problematica e introversa Charlie e l’adolescente Peter.

Ari Aster, anche sceneggiatore, si ispira palesemente ad alcuni classici del passato per dar vita agli incubi che sono al centro di Hereditary, in particolare possiamo notare una particolare sensibilità nel raccontare il lutto e le inquietanti conseguenze che questo può avere sulla mente di chi rimane in vita, come accadeva nel capolavoro di Nicolas Roeg a Venezia… un dicembre rosso shocking (1973). Ma come nel miglior cinema di Roman Polanski, l’inquietudine assume strane forme, fino a trasformarsi in paranoia, con virate soprannaturali che possono ricordare anche il cult di Robin Hardy The Wicker Man.

Un film narrativamente completo e complesso che riesce a cambiare le carte in tavola di continuo, fino ad offrire numerosi spunti di riflessione. Aster, infatti, parte da un incipit molto classico per il cinema horror, ovvero la perdita di un caro come spunto per esplorare mondi ultraterreni. Quello che accade ad Anne, fantasticamente interpretata da Toni Collette, è una lucida esplorazione dei misteri che avvolgevano l’oscura figura di Ellen, sua severa madre che aveva sempre mostrato un interesse morboso per la piccola Charlie (altrettanto straordinaria Milly Shapiro), bambina nata con evidenti problemi fisici. Un’esplorazione che porta Anne perfino a credere nel paranormale e in sue presunte facoltà da medium, ereditate forse proprio dalla defunta madre. Un incipit, questo, che ci conduce verso uno sviluppo molto più vicino alle suggestioni drammatiche del cinema sulla perdita, che, a poco a poco, si tingono di grottesco fino a sprofondare nella follia più completa dell’ultimo atto, dove l’horror torna imperante ed esplode nella sua forma più bizzarra e crudele.

Una intricata rete narrativa che viene eguagliata anche da una particolare ricercatezza delle immagini, avvolte costantemente da colori caldi e giocate sull’ambiguità: la realtà si fonde spesso e volentieri con la riproduzione della stessa, rappresentata dai diorami che Anne costruisce per lavoro e per i quali si ispira alla sua vita, che diventa pian piano sempre più allucinata e allucinante.

Hereditary – Le radici del Male si trasforma di continuo, così come accade ai suoi protagonisti, fornendo nel suo complesso l’immagine di un film a tratti indefinibile: un horror senza ombra di dubbio, che riesce però ad essere sempre altro. Per questo motivo, dunque, Hereditary è un oggetto da maneggiare con cautela, lontanissimo dal prototipo del film di spavento da stagione estiva che porta in sala teen-ager vogliosi di brividi facili, piuttosto un dramma cerebrale che si tinge di macabro, sangue e soprannaturale. Ad ogni modo, consigliatissimo!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Inquieta e spaventa senza far ricorso ai classici jump-scares da horror estivo.
  • Attori bravissimi con una sorprendente Milly Shapiro.
  • Narrativamente complesso e stratificato, riesce a cambiar registro ogni mezz’ora, giustificando così la durata di oltre 2 ore.
  • Sicuramente non è l’horror che vogliono vendervi, quindi attenzione: se cercate un film tipo Ouija o Obbligo o verità girate alla larga, qui siamo proprio su un altro concetto di cinema.
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