High Flying Bird, la recensione

Nonostante l’ottima accoglienza allo Slamdance Film Festival, lo scorso 8 Febbraio è uscito praticamente in incognito il nuovo esperimento audiovisivo di Steven Soderbergh. Durante un immaginario lockout (termine tecnico per indicare una situazione di stallo durante il campionato NBA), un manager in crisi (André Holland) cerca di salvare il proprio lavoro e la carriera dei propri giocatori con una serie infinita di raggiri e sotterfugi che porteranno tutte le parti (manageriali e non) ad accordarsi e a permettere la ripresa del torneo.

High Flying Bird non è un film sul basket, ma è un film girato nel basket, nei suoi backstage, nelle stanze segrete costruite esclusivamente da soldi e diritti Tv, dal cinismo senza scrupoli che è assolutamente invisibile mentre i giocatori sudano, schiacciano e fanno rimbalzare la palla in campo. E quale miglior mezzo espressivo se non un I-Phone per immergersi in questo mondo in cui i giocatori si affrontano a colpi di tweet, stati social e selfie?

Non si gioca più su un campo con due canestri, ma su Instagram, Twitter, Facebook et simila: e ovviamente cambiano anche i device con cui si fruisce un incontro di basket, anche se è solo tra due giocatori capitati “per caso” ad un evento di beneficenza. Niente più Tv o bordo campo, ma è la testimonianza audiovisiva di alcuni ragazzini caricata su Youtube a permettere la visualizzazione dell’evento. E a noi spettatori del film di Soderbergh ci è negato l’accesso a queste immagini e ne percepiamo solo scorci, esclusivamente quando l’I-Phone del regista inquadra uno smartphone (o lo schermo di un portatile) che a sua volta inquadra l’evento o lo riproduce.

C’è questo continuo slittamento in mise en abyme di immagini che non è assolutamente nuovo nella poetica dell’autore: già nel suo folgorante esordio Sesso, bugie e videotape la macchina da presa riprendeva una videocamera a nastro che a sua volta riprendeva le confessioni erotiche degli intervistati; ma anche nella serie capolavoro The Knick le prime rudimentali macchine da presa venivano usate per registrate le operazioni chirurgiche portate a termine con successo, che a loro volta venivano riprese durante l’atto di riprendere da Soderbergh.

Lo slittamento non riguarda solo la riproducibilità dell’immagine, ma anche il cortocircuito tra cinema e realtà. Nel film compaiono noti cestisti NBA che interpretano loro stessi, permettendo il momentaneo passaggio da fiction a documentario, per poi tornare prepotentemente alla finzione con un cambio di scena o sequenza.

Il film è distribuito da Netflix, e nel film viene citato Netflix come possibile piattaforma futura su cui fruire le partite di basket, ma è un futuro che è già arrivato visto che noi stiamo guardando un evento che una volta aveva esclusivamente luogo in un cinema su un pc o su una smart tv. Poi, si ha un cortocircuito/citazione che riguarda l’attore André Holland: in un dialogo verso la fine del film, lui afferma di non poter rispettare il giuramento di Ippocrate perché non è un medico. Nella serie The Knick l’attore interpreta proprio un chirurgo e, data la sua professione, è costretto a rispettare tale giuramento.

La piattezza dell’immagine che rimanda inevitabilmente l’obiettivo di un I-Phone potrebbe essere un’altra citazione ironica o frecciatina a Netflix stesso, nella misura in cui spesso i film originali della piattaforma streaming vengono accusati di avere una ricercatezza visiva molto poco curata. Mi piace pensare che sia così.

Infine, nonostante i dialoghi siano in alcuni casi molto tecnici, non ci si annoia un minuto. A patto però, come per il precedente thriller Unsane, di stare al gioco “massmediologico” del suo autore. Se ci si riesce, a fine visione si avrà un senso di appagamento che raramente capita per un film Netflix.

Stefano Tibaldi

PRO CONTRO
  • Un altro tassello stimolante del nuovo corso massmediale di Soderbergh.
  • Riesce ad appassionare nonostante alcuni dialoghi molto tecnici e spesso poco chiari ai non addetti ai lavori.
  • Cast fenomenale da ogni punto di vista.
  • Se non si entra nel gioco, i dialoghi e la stessa piattezza (ma funzionale) della resa visiva possono far abbandonare la visione dopo pochi minuti.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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High Flying Bird, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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