I, Frankenstein, la recensione

Duecento anni dopo essere stato creato dal folle Dr. Frankenstein, Adam (così è stata ribattezzata la celebre creatura) si aggira ancora indisturbato nel regno dei vivi. Presto verrà a ritrovarsi nel bel mezzo di una secolare lotta tra bene e male: da una parte ci sono i gargoyles che vegliano sulla città, dall’altra orridi demoni capeggiati da Naberius e intenzionati a portare l’apocalisse sulla Terra. Quando Adam realizza di essere il solo a possedere la “chiave” che potrebbe cambiare per sempre la sorte dell’umanità, non può fare altro che schierarsi con Leonore, regina dei gargoyles, e cercare di sabotare i piani di Naberius.

Se si dovesse descrivere il film, utilizzando un solo aggettivo per dimostrare le proprie capacità di sintesi, indubbiamente “ripugnante” è il termine che fa al caso nostro.

L’idea di base è quella di conferire nuova linfa vitale alla creazione di Mary Shelley calando il tutto in un contesto nuovo ed originale cercando persino di reinventare parte del finale del romanzo ed ipotizzando ciò che è accaduto successivamente alla morte del Dr. Frankenstein. Una rivisitazione in chiave post-moderna di una delle creature più leggendarie tra quelle create dalla letteratura nel corso della storia.

Aaron Eckhart è il "mostro" di Frankenstein qui in compagnia della dottoressa

Aaron Eckhart è il “mostro” di Frankenstein qui in compagnia della dottoressa

Dietro quest’immonda sciocchezza, partorita da autori e produttori della fortunata serie Underworld e diretta da Stuart Beattie (Il domani che verrà – The tomorrow series), si nasconde l’ennesima graphic novel pronta a fare il salto di qualità transitando dalla pagina al grande schermo. Autore dell’omonima graphic novel è proprio Kevin Grevioux, una delle menti celate dietro il già citato Underworld, che per l’occasione cura anche la sceneggiatura, prende parte alla produzione e si ritaglia persino un piccolo ruolo. Molto singolare notare quanto Grevioux abbia stravolto in peggio la sua idea in fase di sceneggiatura. Nella graphic novel di partenza il  nostro “eroe” è un singolare detective privato che si fa chiamare Frank Stein, che calato in un contesto molto noir se ne va in giro per la metropoli a dare la caccia a vampiri e licantropi. Nulla di originale, certo, ma comunque abbastanza bizzarro da risultare accattivante. Purtroppo, e aggiungerei “stranamente”, tutto questo viene del tutto perduto nel film e il fantomatico mostro uscito dalla penna di Mary Shelley non ha la licenza di detective, le location da noir sono state sacrificate in favore di una metropoli gotica molto più consona ad un fantasy e al posto del banale ma simpatico Frank Stein ci viene propinato un inspiegabile “Adam”.

Insomma… tutta un’altra cosa!

Ma il problema non sta nel confronto con la graphic novel d’origine (che tanto in pochi avranno avuto il privilegio di leggere), è proprio il film nel suo insieme che fa acqua da tutte le parti risultando un pasticcio come pochi altri. I, Frankenstein ci appare come un tentativo del tutto fallimentare di voler riproporre la formula vincente di Underworld ibridandola con elementi, rubacchiati qua e la, da film come Constantine o il più recente Shadowhunters – Città di ossa. Ne viene fuori un fantasy-action senza identità che ci ripropone ancora una volta, e senza la ben che minima fantasia, il risaputo scontro tra bene e male con dei gargoyles (non sarebbe errato chiamarli angeli, in questo caso) che fronteggiano i soliti diavoletti da strapazzo che vorrebbero distruggere l’umanità con piani improbabili. All’interno di questa faida che va avanti senza esiti da anni ci si aggiunge una timida, quanto inutile, storia d’amore tra l’eroe e la bella scienziata di turno e il film è servito. Purtroppo, però, i difetti non si esauriscono alla sola mancata originalità sulla quale avremmo potuto anche chiudere un occhio. Narrativamente il film non riesce a funzionare nemmeno per un secondo a causa di una sceneggiatura confusa, superficiale e non all’altezza di conferire il giusto spessore a nessun personaggio (in primis il protagonista stesso) e a nessuna situazione. Tante chiacchiere portate avanti da dialoghi così inutili e ridondanti quanto ricchi di comicità involontaria, pronte a fare da contrappunto a confusionarie scene d’azione che nel complesso risultano tutte abbastanza povere nella messa in scena.

Kevin Grevioux è il capo delle guardie di Naberius

Kevin Grevioux è il capo delle guardie di Naberius

Molto brutto, inoltre, il look di tutte le creature che sfilano nel film. Se già lo stesso mostro di Frankenstein è quanto di più lontano da ciò che alberga sin da sempre nel nostro immaginario, con un Aaron Eckhart che ha giusto quattro cicatrici in volto, ancor peggio è stato fatto per ciò che riguarda il make-up dei demoni che limitandosi a mascheroni brutti, lenti a contatto rosse e dentiere richiamano alcuni mostri visti in vecchie serie tv come Buffy – l’ammazzavampiri o Streghe. Dove non arriva il trucco artigianale, ovviamente, ci pensa la computer graphic e di certo le cose non migliorano vista la sovrabbondanza di effetti digitali altamente scadenti e pronti ad apparire “vecchi” all’occhio dello spettatore.

Il finale è architettato in maniera tale da sperare nella nascita di una nuova icona cinematografica con relativi sequel annessi. Difficile che arriveranno realmente e noi tutti, ovviamente, ce lo auguriamo.

Giuliano Giacomelli

Pro Contro
  • Difficile trovarne!
  • Annulla lo spirito goliardico della graphic novel.
  • Totale mancanza di originalità.
  • Narrazione scarna, superficiale ma al tempo stesso confusa.
  • Brutto il look di tutte le creature.
  • Effetti digitali scadenti.

 

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