Into the Dark: Giu’, la recensione
Siamo giunti alla quinta tappa del nostro tour di approfondimento di Into the Dark, la serie antologica targata Blumhouse destinata al circuito televisivo, recentemente distribuita in Italia da RaiPlay. Una serie di lungometraggi slegati tra loro, dodici (a stagione) come i mesi dell’anno, il cui unico punto in comune è quello di svolgersi durante una ricorrenza.
Parliamo, quindi, di Down (Giù), quinto episodio che ruota intorno alla festa di San Valentino, da sempre simbolo degli innamorati e dell’amore, sentimento che, in questa rassegna oscura, viene capovolto nel suo opposto più malsano e morboso. E soprattutto pericoloso. Mi riferisco allo stalking, fenomeno tristemente attuale (e diffuso), nella sua accezione più estrema, ovvero quando lo stalker decide di raggiungere lo step finale.
John e Jennifer lavorano nello stesso edificio (per i cui esterni viene utilizzata la Trump Tower di Chicago) e sono in procinto di godersi il weekend lungo dovuto alla concomitanza tra San Valentino ed il Presidents Day. Quello che non sanno è che rimarranno bloccati in ascensore fino al martedì successivo. Uno spunto elementare, sufficiente comunque a stuzzicare la curiosità su come possa svilupparsi una situazione così minimalista.
La struttura del film è divisa in due parti. La prima racconta l’amore in maniera canonica, sembra quasi di assistere ad una commedia romantica. Nell’arco di poche ore, i due protagonisti condensano tutte le fasi del ciclo vitale di una love story. L’approccio, la conoscenza, il flirt. E ancora, la passione ed il sesso. Per arrivare alle incomprensioni, la rottura, l’allontanamento. Da quel momento in poi inizia un altro film, innescato da un twist – evidentemente intuibile, al punto da non potersi definire spoiler – che porta ad un serie di rivelazioni che mettono in moto un meccanismo di violenza sia fisica che psicologica. In sostanza, si crea una sorta di home invasion con la particolarità che, la maggior parte del tempo, vittima e carnefice si danno battaglia all’interno (strettissimo) della quattro pareti di un ascensore.
È chiaro che uno script di questo tipo non può pensare di puntare su chissà quali svolte narrative, anzi da quel punto di vista la storia tende necessariamente a ripetersi – specie per la faccenda delle rivelazioni del maniaco che più di una volta sente il bisogno di raccontare il suo piano aggiungendo dettagli a ritroso. L’esigenza deve essere quella di creare un sufficiente livello di tensione mantenendo costante l’attenzione e l’interesse dello spettatore; un lavoro che magari richiede meno approfondimento di scrittura ma maggiore abilità da parte del narratore. Un focus nel quale Down, pur con qualche passaggio a vuoto, porta a casa la pagnotta, con la complicità di una durata idonea e compatta di circa 80 minuti.
Parte del merito va attribuita al regista, il tedesco Daniel Stamm (The Last Exorcism – L’ultimo esorcismo), capace di settare il tono giusto ed evitare la sensazione di staticità che una situazione del genere avrebbe potuto generare, utilizzando il giusto insieme di movimenti di camera e inquadrature necessari a dare brio agli spazi angustissimi dell’ascensore. Non mancano una manciata di inserti violenti, come nel caso della sorte riservata al malcapitato collega passato lì per caso. Per giungere ad un finale sostanzialmente da rape & revenge.
Il duo di protagonisti (entrambi nel cast della serie tv Kingdom) adempie il proprio compito, sviluppa una sintonia in corso d’opera che migliora gradualmente le performance di entrambi rendendole maggiormente plausibili. La migliore della coppia è Natalie Martinez (Death Race) che interpreta Jennifer, una donna spigliata ed emancipata che si trova in un momento di fragilità emotiva (dovuto ad un’incertezza sentimentale) e conseguente vulnerabilità che la porta ad azzardare un colpo di testa, per poi ritrovarsi in una pericolosissima situazione di paura e angoscia da cui sarà brava a liberarsi con grinta e temperamento tipici delle sue origini latine. Matt Lauria (una carriera prevalentemente televisiva) è uno stalker nella media, attinge ad un repertorio classico di categoria che va dalla finta innocenza alla psicopatia marcata fatta di eccessi di ira violenta, morbosità e scatti di nervi.
In sostanza, Down si rivela una visione semplice, svelta e gradevolmente cattiva, affronta un tema delicato come lo stalking mescolandolo a elementi (più cinematografici) di home invasion e rape & revenge che comportano un accettabile livello di violenza psicofisica. Non eclatante, ma efficiente, tra i titoli più interessanti di questa prima stagione di Into the Dark.
Francesco Chello
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