Joe, la recensione

Con una strana e altalenante carriera, il giovane David Gordon Green è riuscito a farsi notare dalla critica internazionale grazie a Joe, il lungometraggio che l’ha visto partecipare in concorso alla 70° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e, in seguito, al Festival di Toronto. Un biglietto da visita che gli ha consentito di tornare a Venezia anche quest’anno, sempre in concorso, con Manglehorn, il one-man-show di un Al Pacino in gran forma.

Ma dicevamo dello strano percorso artistico che David Gordon Green sta compiendo perché se si fece già notare nel 2000 con il suo film d’esordio, George Washington, con il quale vinse anche il Torino Film Festival, poi la sua carriera è stata legata alle commedie e alle grandi majors. Suoi sono, infatti, i divertenti Strafumati, con James Franco e Seth Rogen, e Lo spaventapassere con Jonah Hill, nonché Sua Maestà con l’amico Danny McBride che Joe gliel’ha prodotto.

È insolito constatare come un autore che ora si sta costruendo un percorso molto personale e minimalista, incentrato sulla performance attoriale, abbia mosso i primi passi nel mondo del cinema “che conta” con “commediacce” triviali per un pubblico diametralmente opposto e, infatti, è difficile riconoscere in Joe la mano di chi ha diretto Strafumati.

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Con una desolata e desolante ambientazione rurale texana, Joe racconta la storia del quindicenne Gary, un ragazzo in cerca di lavoro per poter mantenere la sua famiglia, osteggiata da un padre manesco e ubriacone, e composta da una madre debole e dimessa e una sorellina che si è chiusa in un preoccupante stato di mutismo. Gary trova lavoro presso Joe Ransom, che ha una piccola società di disboscamento, e riesce a fare assumere anche il padre, ma quest’ultimo, a causa della mancanza di disciplina, si fa licenziare. Da quel momento Gary si lega in rapporto paterno con Joe, che cerca di aiutarlo nella sua difficile situazione famigliare.

Prendendo spunto da un romanzo di Larry Brown, David Gordon Green, che scrive anche la sceneggiatura, realizza un film completamente incentrato sui personaggi e su questo è avvantaggiato dalla partecipazione di due attori davvero capaci che riescono a creare la giusta empatia con il pubblico. Da una parte c’è il giovane Tye Sheridan, già visto in The Tree of Life e in Mud, dall’altra Nicholas Cage, che qui si esibisce in uno di quei ruoli “big than life” che molti suoi detrattori dovrebbero tenere in considerazione prima di ridergli dietro. Però, malgrado due attori con al “A” maiuscola che danno vita a due personaggi che rimangono, il film non decolla mai.

Innanzitutto due ore sono eccessive per raccontare una storia che si esaurirebbe ampiamente nei canonici 90 minuti e, così facendo, si percepisce un certo temporeggiare che appesantisce la visione. Inoltre, escludendo i due personaggi principali e – in parte – il padre beone, che ha però un percorso fin troppo drastico, i personaggi di contorno sono caratterizzati poco e male. Il villain di turno, per esempio, che ha il volto di Ronnie Gene Blevins, è inserito nella storia in maniera forzata e non ha quasi senso di esistere in quel contesto se non nell’intenzione di aggiungere un pizzico di cinema di genere nel racconto. Da parabola fortemente drammatica, infatti, Joe si trasforma in un thriller con piccoli tocchi action che davvero stonano, anche se movimentano la vicenda, ameno nel climax finale.

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L’ambientazione squallida e desolante aiuta a immergerci nel clima sgradevole in cui vive Gary, ma a volte si ha la sensazione di essere in uno di quei film ultra-indie degli anni ’90 che non sono proprio un bel ricordo per chi il cinema di quegli anni l’ha vissuto. Non aiuta l’adattamento italiano, particolarmente poveristico e con voci che non sempre si legano bene ai personaggi, ad eccezione del sempre ottimo Pasquale Anselmo che ormai accompagna Cage da anni.

E quindi Joe procede tra alti e bassi, alcune scene e alcuni dialoghi sono davvero azzeccati, anche se si ha la sensazione che la presenza di Cage abbia contribuito non poco a renderli migliori, ma si nota questo andamento trasandato, questo tirare per le lunghe, questa mancanza di un soggetto sufficientemente forte per far si che questo film venga davvero ricordato.

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Nicholas Cage e Tye Sheridan ottimi.
  • Alcuni dialoghi funzionano bene.
  • Troppo lungo per quell che ha da raccontare.
  • Abito da film ultra-indie che non lo rende troppo appetibile.
  • L’adattamento italiano.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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