La chimera, la recensione

Distribuito con difficoltà in appena 107 sale in Italia, La chimera è uscito lo scorso 23 Novembre; nonostante la piccola distribuzione il film non è affatto passato in sordina non solo perché ben accolto dalla critica già durante la mostra di Cannes ma anche per l’appello, e i vari articoli che ne sono conseguiti, della regista Alice Rohrwacher e del protagonista Josh O’ Connor che hanno invitato tutti ad andare al cinema per sostenere il film.

Ambientato nella Tuscia degli anni 80’ il film segue le vicende di Arthur, un archeologo convertito a tombarolo che, uscito di prigione, si riunisce col suo vecchio gruppo di amici e compagni di trafughi tombali. Il giovane inglese, col cuore infranto, vagherà per i luoghi vicini all’immaginaria Riparbella tormentato dai ricordi della sua amata Beniamina.

Terzo capitolo della trilogia inaugurata dalla regista con Le meraviglie e proseguito con Lazzaro felice. Anche in quest’ultimo lavoro la Rohrwacher indaga il rapporto che abbiamo con il passato, qui nella sua iterazione più profonda ed esistenziale: l’archeologia e i tombaroli si fondono in una spirale dove l’accademico ed estetico rapporto tra l’uomo e l’arte del passato si mescola con il denaro e la propria avarizia. Questa travolgente spirale che colpisce il personaggio di O’ Connor si inserisce all’interno di un perfetto equilibrio tra realtà e sogno, stile ormai riconoscibile della regista che qui arriva ad affrontare il concetto di lutto e indaga nel profondo il rapporto che abbiamo verso i cari ormai scomparsi.

Ecco che La chimera diventa uno di quei film capaci di portare sullo schermo il massimo attuabile dal mezzo cinematografico. Un’opera capace di mischiare i potenti temi con la semplicità delle immagini. Un film estremamente genuino e onesto nei confronti del proprio spettatore. Non c’è complessità nel lavoro della Rohrwacher ma semplicemente l’ambiguità di un’autrice che sceglie di far parlare il non detto, il non inquadrato e di non indugiare in esercizi stilistici che minerebbero la narrazione. Le brutture di questa pellicola sono deformazioni naturali dell’animo della regista, non sono forzate da dettami autoriali o necessità di mercato.

La regia della Rohrwacher è perfetta: cogliere l’animo delle cose è la più difficile delle pratiche nel mondo del cinema. La regista toscana non solo riesce a farlo, ma riesce a farlo con una delicatezza e un’essenzialità del gesto senza precedenti. Il tutto senza mai dimenticarsi di cogliere l’animo e le emozioni profonde dei protagonisti che abitano il film.

Le profondità che il protagonista e i compagni tombaroli scavano sullo schermo non sono tanto dissimili dalle profondità che la regista cerca di far raggiungere allo spettatore nella sua ricerca di un filo rosso delle cose, un punto che lega in comune le persone tra loro: come per gli archeologi così per la regista questo file rouge non si lega tra di noi ma si trova nelle viscere della terra.

La chimera è quindi un film che si potrebbe definire viscerale, non tanto fisicamente quanto più geologicamente parlando: l’ultima fatica della regista italiana scava nelle profondità del terreno cinematografico e recuperando da Malick e Olmi porta il cinema italiano verso una direzione fresca e ruggente ma con la coscienza carica di cosa sia il cinema.

La chimera è dunque un film assoluto, un capolavoro del cinema contemporaneo, non solo del Belpaese. Capace di portare il mezzo cinematografico alla quasi perfezione, raggiungendo l’oltre e portando l’essenzialità dello stato delle cose sul grande schermo. Una fiaba minimalista che fa dell’essenza di sé il fulcro del mondo. Un’opera globale.

Emanuele Colombo

PRO CONTRO
Ogni cosa nel film esprime un “pro”. Di conseguenza, non ci sono “contro”.
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