La regola del gioco, la recensione

La regola del gioco è il pessimo titolo italiano per Kill The Messenger di Michael Cuesta. Titolo basato su due libri-inchiesta e sull’esperienza personale dell’autore di uno dei due, Gary Webb, giornalista Premio Pulitzer scomparso nel 2004.

Inizia con un lungo inserto documentaristico che riguarda il traffico di stupefacenti in America e si pone come film di denuncia proprio a partire da lì. Il giornalista Gary Webb pubblica un articolo dove denuncia il trattamento sleale nei confronti dei pregiudicati per traffico di droga, a cui lo Stato toglie la proprietà non restituendola neanche in casi i cui i soggetti vengano giudicati innocenti. Il suo capo vorrebbe tagliare quella parte di articolo per evitare di alzare un polverone, ma Webb insiste affinché l’articolo sia pubblicato senza fronzoli ed è da lì che per lui cominciano i guai. Webb si renderà presto conto di vivere in un sistema corrotto dove “i buoni usano i cattivi per prendere altri cattivi”. Un giorno, riceve la telefonata di Coral Baca, un’affascinante sudamericana, pronta a regalargli una storia interessante sul traffico di cocaina, che prevede il coinvolgimento di uno Stato corrotto e mercenario. Webb si addentra così sempre di più nella ricerca della verità, attirandosi la diffamazione e l’ingresso nella sua vita privata di chi ha interesse a fargli perdere credibilità. Anche la sua stessa situazione familiare comincia presto a vacillare.

Pur dentro gli stereotipi del film di denuncia, La regola del gioco è un buon film che si avvale di una buona sceneggiatura, per quanto a volte un po’ furbetta e in alcuni punti poco chiara, che punta continuamente il dito contro la più potente nazione del mondo, e trova un ottimo interprete in Jeremy Renner, già protagonista di The Hurt Locker. Anche se viene mobilitato un buon cast per personaggi non molto caratterizzati, visto che la sceneggiatura sembrava preoccuparsi di più di dipingere Webb come un eroe in guerra contro la propria nazione. Poco convincente risulta invece l’interpretazione di Paz Vega che, nonostante chili di trucco e voce suadente, proprio non riesce ad essere credibile nei panni di una fatalona, pur con una parte piccola ma molto caratterizzata, finendo per lo più per adottare le movenze di un travestito. È invece convincente Rosemarie DeWitt, la Rachel di “Rachel sta per sposarsi”, nei panni della signora Webb.

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Il film per quanto semplice ci prova a fare qualcosa di più, ma finisce sempre un po’ nella logica del film standardizzato. Sebbene non ci siano grandi colpi di scena, ci sono comunque un sacco di bei momenti che funzionano.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Plot interessante e ben motivato
  • Un intenso attore protagonista
  • Incipit di forte presa sul pubblico

 

  • Assenza di colpi di scena o momenti forti
  • Finale leggermente stereotipato
  • Eccessive frecciatine al governo americano

 

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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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La regola del gioco, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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