Lo Hobbit – La desolazione di Smaug, la recensione

Gandalf, Bilbo, Thorin Scudodiquercia e la sua compagnia di nani sono ancora in viaggio verso il regno di Erebor per liberarlo dall’infestazione del drago Smaug. Durante il loro tragitto i viaggiatori si avventurano nella foresta di Bosco Atro, infestata da terribili ragni giganti, incontrano ancora una volta gli Elfi e fanno la conoscenza del traghettatore Bard, mentre sono ancora inseguiti dagli orchi guidati da Arzog, che sono sotto il controllo del misterioso Negromante.

Quando nel 2002 uscì nei cinema Le due torri, seconda parte della trilogia de Il signore degli anelli, si era nel pieno della Tolkien-mania, alimentata dal vero e proprio universo cinematografico che Peter Jackson che era riuscito a creare, appassionando miriadi di giovani e adulti, sia tra chi Il signore degli anelli lo conosceva già, sia chi era un perfetto profano in materia. Fama alimentata poi dai numerosi Oscar che la trilogia si portò a casa nel corso della sua avventura. Si ha l’impressione che questa seconda trilogia tolkeniana che prende avvio dal romanzo Lo Hobbit non sia ugualmente pregnante ne sufficientemente forte a livello iconografico da far tendenza. E questo a dispetto dei ragguardevolissimi oltre 300 milioni incassati dalla prima parte, Un viaggio inaspettato, uscita nei cinema nel dicembre 2012.

Quello che balza subito all’occhio guardando l’universo espanso del Signore degli anelli che di fatto è Lo Hobbit è l’evidente alone “only for money” che avvolge questi nuovi film che ci appaiono fortemente improntati sulla falsariga dei precedenti. Tutto ciò che ha decretato il successo della trilogia originaria viene riproposto in maniera quasi pedissequa in questa seconda, con il risultato che inevitabilmente Lo Hobbit non potrà entrare nell’immaginario collettivo spettatoriale come accadde con Il signore degli anelli. E così, dopo un comunque gradevolissimo Un viaggio inaspettato, che appunto nella struttura ricordava tanto La compagnia dell’anello, abbiamo La desolazione di Smaug che richiama prepotentemente Le due torri, sia per l’iter che affrontano i protagonisti che li porterà a separarsi in tre gruppi, sia per quel suo status da “parte centrale” che, non avendo ne un inizio ne una fine, non può essere fruito dallo spettatore occasionale.

Legolas è pronto a colpire

Legolas è pronto a colpire

La desolazione di Smaug funziona così come funzionava Un viaggio inaspettato, si tratta di un’operazione fan-oriented che però ha la forza di catturare un pubblico molto ampio grazie a una storia realmente appassionante, alla messa in scena altamente spettacolare e a una serie di personaggi pittoreschi che ben si prestano ad essere amati. È l’abilità di Peter Jackson a far la differenza, un cantastorie che ha fatto sua la lezione di tanto buon cinema per le grandi masse che sta riproponendo con un tocco decisamente personale. Però se Un viaggio inaspettato risultava divertente per la varietà di situazioni e per l’introduzione – ben gestita – di alcuni personaggi molto bizzarri, La desolazione di Smaug paga paradossalmente pegno per la sua maggiore compattezza narrativa. Si ha la sensazione che troppe situazioni siano inutilmente dilatate, facendo così emergere una tendenza alla staticità del racconto. Il fulcro della storia, qui in modo maggiore che in passato, è lo spostarsi da un punto A a un punto B… e basta! Nel tragitto ci sono incontri e scontri, ma la percezione di dinamicità qui è tutta a sfavore di questo limitante soggetto “basic”. Così la comunque bellissima avventura nel Bosco Atro in cui i nostri eroi si scontrano con spaventosi ragni che rievocano lo Shelob di Il ritorno del Re sa tanto di integrazione per allungare il brodo, così come la nuova pausa nel regno degli Elfi, dove rispunta Legolas (sempre interpretato da Orlando Bloom) come licenza creativa esclusivamente cinematografica. La desolazione di Smaug sembra quasi vergognarsi dell’essenzialità della trama e così Jackson ha rimpinzato il film di siparietti che seppur necessari alla spettacolarità e alla diramazione narrativa, in più occasioni creano quella sensazione di preder tempo per rimandare più in là possibile lo scontro finale, tanto che si percepisce la lunghezza di questo capitolo – che di fatto è il più corto fino ad ora! – più che in passato.

La desolazione di Smaug si fa comunque ricordare per almeno tre scene madri: la già citata scena nel Bosco Atro, la fuga nei barili che ci dona un fantastico piano sequenza “impossibile” che è una festa per gli occhi e il lunghissimo scontro finale con Smaug, prima verbale tra il drago con la voce di Benedict Cumberbatch (in Italia lo doppia egregiamente Luca Ward) e lo hobbit Bilbo, poi fisico. Tra l’altro Smaug, che utilizza anche le movenze di Cumberbatch grazie alle performace capture, è realizzato divinamente e seppur non innovativo sotto il punto di vista del design è uno dei migliori draghi mai apparsi sul grande schermo.

Smaug cerca Bilbo

Smaug cerca Bilbo

Comunque il fascino visivo è un po’ la peculiarità di questo secondo capitolo de Lo Hobbit che riesce a far immergere in maniera stupefacente lo spettatore nella Terra di Mezzo grazie all’uso intelligente e ponderato del 3D, sia grazie allo sfruttamento ottimale degli spazi, ormai peculiari di questa saga, che in La desolazione di Smaug assumono un tono e una fotografia decisamente più dark di Un viaggio inaspettato. Anche in questa occasione il film è stato girato nell’innovativa tecnica HFR, ovvero a 48 fps (fotogrammi per secondo), che ha l’intento di rendere l’esperienza visiva più vicina alla realtà. Purtroppo, come accadeva con Un viaggio inaspettato, l’impatto ha l’effetto contrario e l’immagine ci appare più falsa (soprattutto a livello fotografico), tanto che l’occhio ci mette un po’ ad abituarsi. Questo secondo capitolo però ha il vantaggio di avere scene più scure il che aiuta di molto ad accettare questo orpello che forse non è così necessario come Jackson deve aver pensato.

Insomma, anche questa volta lo spettacolo è assicurato. I fan più estremi dell’originale cartaceo avranno sicuramente da storcere il naso per qualche licenza cinematografica di troppo e per la frettolosa gestione di un personaggio come Beorn (che probabilmente avrà più spazio nella versione estesa), i meno esigenti non possono che godersi questa nuova esperienza nella Terra di Mezzo.

Roberto Giacomelli

 

PRO CONTRO
  • Grande spettacolarità in almeno tre scene madri.
  • 3D utilizzato con cognizione di causa.
  • Il drago Smaug è un cattivo memorabile.
  • Si ha la sensazione del “brodo allungato”.
  • L’HFR appare ancora una volta una tecnologia controproducente.

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