Mechanic: Resurrection, la recensione

Quando ero piccolo, parenti poco avvezzi al concetto di saga letteraria erano soliti regalarmi libri cronologicamente a caso. Quindi, che so, ho iniziato Harry Potter dal terzo volume. La sensazione era sempre quanto meno estraniante trovarsi in un quella specie di media res non programmata. Ecco, soltanto a fine film ho realizzato che Mechanic: Resurrection, di Dennis Gansel, in uscita in Italia il 24 novembre, è il sequel di Professione Assassino, che non ho visto.

Comunque, ciò che mi ha sorpreso, almeno inizialmente, è che io questa mancanza, a differenza di quando ero piccolo, non l’ho sentita. Per me, Mechanic: Resurrection poteva essere il primo, come il cinquantesimo film di una saga: sapevo tutto ciò che avevo bisogno di sapere. Per capirci, il primo Mechanic non ho ancora la più pallida idea di che cosa tratti!

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L’intera trama di Mechanic: Resurrection è riassumibile con: Bishop (Jason Statham) è un uomo dalle capacità molto particolari che ha acquisito durante la sua lunga carriera, che fanno di lui un incubo per colui  (Sam Hazeldine) che gli ha rapito la ragazza (Jessica Alba), costringendolo a uccidere tre uomini (uno dei tre è Tommy Lee Jones uscito dall’intercapedine di un qualche film action anni ’90). Punto. Come se non bastasse, tutti gli snodi e le motivazioni sono poco più che McGuffin, prevedibili e di cui a nessuno, spettatori e autori, importa qualcosa. Si veda, per esempio, la raffazzonata spiegazione per cui Jessica Alba viene coinvolta nella storia. O, anche, i piani di Bishop – arizogogolati e completamente assurdi, ben oltre il limite del cartoonesco – per uccidere i tre bersagli, privi della benché minima base logica o, Dio ce ne scampi, fisica.

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D’altronde, sul versante tecnico, le cose non vanno meglio. Se la scenografia e gli effetti speciali sono così smaccatamente in CGI che si fatica a credere che non sia voluto come effetto, da quanto è evidente e posticcio, i combattimenti seguono la, ormai consolidata, regola neoclassica del cinema hollywoodiano: lo stacco di montaggio un attimo prima, o un attimo dopo il colpo, proprio come l’Eros e Psiche di Canova sono scolpiti l’istante prima del bacio.

Ma allora, se sceneggiatura, regia, fotografia e coreografia sono così atroci, perché il film, fondamentalmente, funziona? O, ancora, dove sta il film?

Funziona perché il film è il corpo di Jason Statham. Anzi: il film è Jason Statham.

Tutta la logica e la ragione d’essere di Mechanic: Resurrection si esauriscono in Statham. Non a caso è presente in qualcosa come il 99% delle inquadrature.

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Anche la sceneggiatura è Statham. Quando dicevo che del primo Mechanic non avevo bisogno di sapere nulla per conoscerlo già completamente è perché era racchiuso nel corpo di Statham, nella fusione ormai inscindibile fra corpo dell’attore e personaggio. Appena è comparso sullo schermo era lapalissiano che Bishop fosse un bastardo dal cuore d’oro, che menava duro e che aveva il passato brutto. Sotto questo punto di vista, il cinema action è un po’ il figlio cazzone del divismo degli anni ’40.

Insomma, Mechanic: Resurrection mantiene quello che promette, ovvero ben poco: passare un’ora e mezza divertendo, senza la pretesa di essere ricordato da qui a mezza giornata. Vuoi per la trama episodica (i tre diversi omicidi che ricreano ogni volta lo schema analisi, pianificazione, attuazione), vuoi per il ritmo forsennato, in fondo ci riesce. E va bene così.

Samuele Petrangeli

PRO CONTRO
È un puro film di Jason Statham. È un puro film di Jason Statham.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Mechanic: Resurrection, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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