Napoli velata, la recensione
A neanche un anno di distanza dall’uscita del suo ultimo film, Rosso Istanbul, Ferzan Ozpetek torna sul grande schermo con Napoli velata e mai ci saremmo aspettati di vedere un giallo all’italiana portare la sua firma. In barba al tipo di cinema a cui ci ha abituato, il regista de La finestra di fronte si confronta proprio con un genere che ha reso grande nel mondo la cinematografia italiana negli anni ’70, il cosiddetto spaghetti-thriller, che negli ultimi decenni si era perso tra produzioni televisive e film ultra-indie, e lo fa proprio omaggiando uno dei più celebri registi che con questo genere ha fatto la sua fortuna, Dario Argento.
Napoli velata inizia con l’inquadratura di una porta, nel pianerottolo di una palazzina: minacce, urla, una colluttazione e un omicidio che si consuma sotto gli occhi traumatizzati di una bambina. Ovviamente la mente dello spettatore esperto va all’intro di Profondo Rosso, film richiamato anche successivamente dall’indizio svelato nel bagno dall’alone di vapore che mostra una scritta sullo specchio. Ma non illudetevi, Napoli velata, in realtà, non è il ritorno in grande stile dello spaghetti-thriller, perché se da una parte è inerente al genere e Ozpetek vuole indubbiamente omaggiarlo, a conti fatti riamane un film molto vicino alla filmografia del regista di origini turche, per macro-tematiche, suggestioni visive, dettagli, ritmi.
In Napoli velata si racconta la vita di Adriana (Giovanna Mezzogiorno), medico legale, che a una festa incontra Andrea (Alessandro Borghi), mercante d’arte. Tra i due è subito passione e dopo una notte passata insieme, Adriana si trova a fare l’autopsia a un cadavere senza nome che riconosce essere proprio Andrea. Mentre la polizia indaga sulla misteriosa morte, il numero dei decessi comincia a crescere e l’intera vicenda sembra in qualche modo collegata alla donna che nel frattempo ha incontrato il fratello gemello di Andrea e lo ospita all’insaputa di tutti dentro casa sua.
Napoli velata è come un ottovolante, costantemente in balia di alti e bassi, che a volte sono altissimi e bassissimi.
Ozpetek ha il buon mestiere dalla sua parte, un regista dal gusto estetico incredibile e capace di riprendere interni (soprattutto) ed esterni con una lungimiranza artistica che da sola farebbe un film. Quindi il punto regia era una scommessa vinta fin dall’inizio. La difficoltà che si riscontra in Napoli velata sta però nello script dello stesso Ozpetek, Valia Santella e Gianni Romoli, che si incarta in men che non si dica in un intreccio poco accattivante che sbaglia la cifra del giallo tra soluzioni narrative banali e colpi di scena prevedibilissimi.
Nel terzetto c’è un veterano del cinema di genere, ovvero Romoli, autore di titoli di gran pregio come La setta, Dellamorte Dellamore e Trauma, oltre che buona parte dei film dello stesso Ozpetek, quindi almeno una mano esperta a disposizione di Napoli velata c’era e probabilmente è a Romoli che vanno imputate alcune strizzate d’occhio al passato e i meccanismi più collaudati che stanno dietro l’intreccio. Per il resto ci si muove tra detti e non detti (e i non detti in un giallo non sempre fanno l’effetto di Blow Up di Antonioni), colpi di scena che si “sgamano” immediatamente, personaggi che sembrano fondamentali e poi vengono inspiegabilmente abbandonati e dialoghi non proprio impeccabili.
Gli attori sono l’altro ottovolante di Napoli velata.
Il cast di contorno è praticamente perfetto, con alcuni talenti del teatro e del cinema utilizzati benissimo e pronti a dar vita a buoni personaggi: basti pensare a Maria Pia Calzone e il suo ispettore di polizia realista e disilluso; Peppe Barra con il personaggio dell’attore di teatro popolare, amico di famiglia della protagonista simpaticissimo e pittorescamente radicato alla tradizione napoletana; Anna Bonaiuto, zia confortante e confortevole, personaggio chiave eppure capace di rimanere sullo sfondo. Il problema nasce quando ci troviamo di fronte i due protagonisti interpretati da Giovanna Mezzogiorno e Alessandro Borghi. La prima, che con Ozpetek aveva già lavorato ai tempi de La finestra di fronte, è semplicemente frutto di miscasting: poco credibile come napoletana (a tratti parla con inflessione del capoluogo campano, a tratti no, senza soluzione di continuità e senza ragione) e soprattutto sbagliata come femme fatale capace di far innamorare almeno tre uomini nell’arco di 100 minuti di film. Poi c’è Borghi, attore ancora sfuggente e a rischio sovraesposizione, a cui è affidato un ruolo molto particolare che palesemente non riesce a gestire con efficacia tanto che la frequente inespressività è bilanciata dallo stesso Ozpetek con soluzioni che ne mettono in risalto soprattutto la prestanza fisica.
Poi c’è Napoli, città stupenda ritratta per i luoghi d’arte e di turismo, per il mare, il sole e gli affollati vicoli dei quartieri spagnoli, peccato che gli spostamenti che fanno i personaggi nel film siano del tutto fantascientifici e geograficamente inattendibili, degni di un film americano ambientato a Roma.
Insomma, Napoli velata porta Ozpetek a confrontarsi col genere ma l’autorialità del regista prevale e così il mistero e la tensione del thriller svaniscono a vantaggio di un dramma sull’amore e sulla famiglia. Visivamente accattivante, ma nel suo complesso molto poco riuscito.
Roberto Giacomelli
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