Never Let Go – A un passo dal male, la recensione

La brillante carriera del francese Alexandre Aja si sta facendo velocemente variegata di film in film. Se inizialmente, infatti, il nome del regista era legato fondamentalmente a certo cinema horror più viscerale e cruento, grazie ai successi di pezzi da 90 come Alta tensione (2003) e Le colline hanno gli occhi (2006), da un po’ di tempo a questa parte la filmografia di Aja si spinge in sperimentazioni abbastanza audaci per i suoi pregressi. Horns (2013) e The 9th Life of Louis Drax (2016) – rimasti inediti in Italia – si spingevano in direzioni più fantastiche negando la componente splatter, Crawl – Intrappolati (2019) andava in direzione disaster/survival, Oxygène (2021) addirittura un trap-movie con unica location e un solo attore. In questo percorso, appare molto naturale trovare con Never Let Go – A un passo dal male ancora un cambio di prospettiva all’interno del genere, che porta il regista francese ad esplorare i confini del thriller psicologico con il linguaggio della favola macabra.

Una mamma vive insieme ai suoi due figli Samuel e Nolan in una vecchia casa di legno immersa nel bosco. I tre sono gli unici sopravvissuti a un’apocalisse che ha scatenato un antico Male sulla Terra, un Male che cerca di corrompere anche i pochi sopravvissuti prendendo orribili forme e spingendoli alla morte. L’unica speranza di sopravvivenza per i tre è non abbandonare mai la propria abitazione, costruita con un legno “benedetto”, oppure muoversi al suo esterno legati a una corda che crei comunque connessione con l’abitazione. Quando le risorse cominciano a scarseggiare e la Natura sembra non offrire più nulla di commestibile, la mamma dovrà cominciare a prendere drastiche decisioni mentre Nolan inizierà a dubitare della stessa situazione in cui sono convinti di vivere.

La sceneggiatura di Kevin Coughlin e Ryan Grassby punta immediatamente sull’impianto fiabesco utilizzando una voce narrante e immergendo l’azione nel classico bosco irto di misteriose minacce; e se il riferimento non fosse sufficientemente chiaro, la mamma racconta a più riprese la fiaba di Pollicino ai suoi figli, fornendo una sagace chiave di interpretazione su un momento chiave della storia.

Alexandre Aja gioca chiaramente nei territori cari alla famiglia Shyamalan con echi dell’ormai cult The Village e, soprattutto, del recentissimo The Watchers. Ma a differenza dei lavori del regista indiano e di sua figlia, Never Let Go gioca con più sottigliezza sulla portata allegorica e metaforica dell’opera, evitando spiegazioni troppo urlate, non affidandosi a colpi scena eclatanti e giocando con l’ambiguità delle situazioni.

Quello di Alexandre Aja è sicuramente un film che parla, in primis, di maternità e di come questo stato possa assumere un forte grado di tossicità: la casa di legno, in fin dei conti, è l’ideale utero in cui vivere in sicurezza, alimentati da quello che giunge dall’esterno; mentre le salvifiche corde che legano i personaggi all’edificio sono il cordone ombelicale che li tiene ben saldi a quella situazione di conforto e salvaguardia. Recidere il legame con la casa è un salto nell’ignoto che, però, il piccolo Nolan comincia a valutare come utile a vivere, piuttosto che sopravvivere. La scelta del ragazzino coincide chiaramente con un processo di crescita, una sorta di coming of age in cui è necessario inoltrarsi nel bosco per sfuggire alla protezione materna, che comincia ad essere vissuta come una morsa.

Gli stessi fantasmi che affliggono il personaggio di Halle Berry (e che poi affliggeranno Samuel e Nolan) sono chiaramente dei rimorsi di coscienza e possono essere letti non solo come subdole creature rettiliane ma come demoni interiori con i quali la coscienza non è riuscita ancora a fare i conti. Quindi c’è un vissuto dietro il personaggio di Halle Berry, a sua volta legato a un degradante rapporto materno, che lo spettatore può solo immaginare e ricostruire in base alla propria sensibilità, suggerito ma mai davvero confermato, come altamente ambigua rimane la minaccia soprannaturale che terrorizza i nostri protagonisti.

Le creature che popolano il bosco sono mostrate col contagocce (praticamente le vedete tutte nel trailer!) e questo va ad accrescere il senso di mistero che aleggia attorno alla loro presenza, ma potrebbe anche scontentare chi si aspettava una maggiore concessione al filone creature-feature, come è appunto suggerito dal marketing. Anche perché, quel poco che compaiono, i mostri sono davvero originali e ben realizzati, con una scena da body-horror anche abbastanza repellente e un paio di stilettate granguignolesche che ci fanno riconoscere la mano del primo Alexandre Aja.

Prima si tirava in ballo il cinema di Shyamalan, da cui sembra davvero cercare ombra Never Let Go, ma se l’approccio narrativo appare consono, è lo stile di Aja ad apparire troppo grezzo per vincere il confronto. A Never Let Go manca quella raffinatezza nell’inquadratura, quella delicatezza nell’accarezzare i volti e quella maestria nel costruire la tensione; c’è invece una furia latente, una voglia di sbattere davanti allo schermo mostri striscianti e sbrodolosi, esplosioni di emoglobina e cattiverie di ogni tipo che però non appartengono a questo universo.

Si lascia senz’altro apprezzare la performance molto sentita di Halle Berry, anche produttrice esecutiva del film insieme al regista di Deadpool & Wolverine Shawn Levy, che era lontana dall’horror dai tempi di Gothika (2003) e dona credibilità e intensità alla sua madre premurosa e misteriosa.

A conti fatti, Never Let Go – A un passo dal male, che arriverà al cinema il 26 settembre distribuito da Notorious Pictures, è un discreto thriller psicologico che cerca di farsi strada nel filone delle “dark fairytales”. Priva lo spettatore degli elementi più vicini all’horror di pancia ma allo stesso tempo non riesce a far sue le atmosfere tipiche di un genere molto codificato, rimanendo in quel limbo delle opere che non hanno saputo osare abbastanza e allo stesso hanno osato troppo.

Piacevole, a tratti molto interessante, ma non memorabile.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Halle Berry e la sua sentita interpretazione.
  • Le concessioni all’horror più fisico.
  • Come riesce a gestire l’allegoria della maternità.
  • Non ha molto chiaro il linguaggio del thriller fiabesco.
  • Ci sono troppi momenti in cui non succede nulla.
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