Noah, la recensione

L’Arca di Noè attracca sugli schermi italiani grazie al kolossal biblico Noah di Darren Aronofsky, cineasta dotato di particolarissime peculiarità creative e da sempre incline ad affrontare, con piglio cupo e intensità drammatica, vicende emotivamente forti e a tinte fosche. La storia del patriarca biblico catturò l’interesse del regista sin dalla tenera età di tredici anni, quando la trasformò in racconto aggiudicandosi anche un premio scolastico. E’ facile, dunque, intuire da quanto tempo Aronofsky coltivasse il sogno di realizzarne una trasposizione cinematografica, pur essendo consapevole dell’alto tasso di rischio e cautela che l’impresa – che non è inappropriato definire ‘biblica’ – avrebbe comportato.

Si tratta di uno dei racconti più antichi e celebri al mondo, finora trasposti, dalle pagine della Genesi sul grande schermo, prevalentemente sotto forma di film d’animazione o commedie, probabilmente in virtù della notevole complessità umana e morale del materiale. Aronofsky, optando per lo sfruttamento della terza dimensione, sfiziosa ma non indispensabile ai fini di un’adeguata fruizione, non ha paura di mitigare la componente sacrale strutturale al Vecchio Testamento, e contamina la materia religiosa con atmosfere leggendarie e dal sapore fantasy, proponendo, con impavida risolutezza, la propria visione artistica.

Noah (Russel Crowe), discendente di Adamo ed Eva e nipote di Matusalemme (Anthony Hopkins), vive isolato dal resto dell’umanità – votata al vizio e alla depravazione sotto l’egida del malvagio Tubal-cain (Ray Winstone) – con la moglie Nameeh (Jennifer Connelly), i figli Sem (Douglas Booth), Cam (Logan Lerman) e Japheth (Leo McHugh Carroll) e la figlia adottiva Ila (Emma Watson). L’uomo, profondamente devoto al Creatore, ha delle visioni in cui gli viene ordinato di costruire un’Arca per salvare ogni specie animale e la propria famiglia dal diluvio che ripulirà la Terra dalla crudeltà e dalla ferocia degli esseri umani. Al suo fianco, gli Angeli Caduti (Nick Nolte, Frank Langella e Mark Margolis): giganti di pietra rei di esser stati compassionevoli con gli esseri umani e, per questo, ripudiati dal Creatore e abbandonati sulla Terra.

In pieno diluvio, Noah (Russell Crowe) si precipita verso l'Arca, dove lo attende la sua famiglia.

In pieno diluvio, Noah (Russell Crowe) si precipita verso l’Arca, dove lo attende la sua famiglia.

La connotazione dell’entità ultraterrena che tiene le fila del destino della razza umana è severa e punitiva eppure, nonostante questo, Noah non può che obbedirle ciecamente, devoto senza remore al compito che Egli ha riposto nelle sue mani. Non mancano momenti di particolare efficacia e intensità drammatica, generati dall’imperscrutabilità del volere e del disegno divino, che disorienta e sconvolge fin quasi alla follia non solo il protagonista ma ogni membro della sua famiglia, ciascuno a suo modo. In particolare, il giovane arrabbiato Cam, interpretato dal sempre più bravo Logan Lerman, che si rivela la figura decisamente più ricca di luci e ombre della pellicola. A spiccare notevolmente su tutto il cast, però, è il monumentale Ray Winstone, che porta in scena un villain amorale e senza scrupoli, convinto di meritare di stare al mondo quanto e forse più di qualunque divinità. Ottime performance per le donne del cast: il Premio Oscar Jennifer Connelly, impetuosa e convincente anche nelle scene più impegnative, e l’appassionata Emma Watson. Assolutamente inutile l’imbambolato Douglas Booth. Difficile definire le interpretazioni dei mostri sacri Crowe e Hopkins che, seppure di alto livello, danno costantemente l’impressione di essere a disagio nei panni di personaggi che la scrittura filmica rende talvolta tendenti al ridicolo o al grottesco.

È interessante anche la non troppo velata critica che Aronofsky rivolge alla società contemporanea, della quale l’anacronistico scenario in cui si muovono Noah e la sua famiglia, improntato a un feroce uomo-mangia-uomo e a un sistematico massacro degli innocenti, costituisce l’impietosa metafora e il minaccioso monito. E ci si chiede insistentemente, allora come oggi, se tanto patire e tali orrori abbiano effettivamente uno scopo. Quel che è certo, è che quest’ultimo ci sfugge e che non resta che sperare in un segno che infonda in noi nuova speranza che non tutto sia vano. Segno che, tuttavia, rimane nascosto dietro uno sconfortante ed enigmatico silenzio, che non si scalfisce nemmeno di fronte a un bisogno disperato di conferme.

Noah e il suo secondogenito Cam (Logan Lerman) si dedicano alla costruzione dell'Arca.

Noah e il suo secondogenito Cam (Logan Lerman) si dedicano alla costruzione dell’Arca.

Dal punto di vista visivo, siamo di fronte a un tripudio di incredibili effetti speciali, scanditi da interludi di cosmogonico virtuosismo, che regalano al pubblico momenti indubbiamente interessanti dal punto di vista registico e concedono un break dall’azione principale, che spesso fatica ad appassionare e catturare l’attenzione dello spettatore. Il primo macro segmento, in particolare, arranca lento e inesorabile, il che potrebbe penalizzare lo spirito con il quale si affronta la totalità della pellicola, alla quale una mezz’ora in meno avrebbe potuto francamente solo giovare (il film dura 138 minuti!).

Noah, affrontando il tema della creazione, del peccato originale e dei limiti fino ai quali sia lecito che la Fede si spinga, si rivela una scommessa più persa che vinta. Il ricorso a qualche soluzione di moderna ispirazione da luogo a momenti vagamente fuori luogo che incidono sul coinvolgimento spettatoriale e, come si accennava, neanche la scrittura contribuisce a rendere sempre godibile la vicenda narrata e alta la soglia dell’attenzione.
Tali difetti sono comunque conseguenze da tenere presenti nel momento in cui si affronta la trasposizione di una storia tanto semplice e, al tempo stesso, elaborata, costringendola a dialogare con la spettacolarità della logica hollywoodiana.
Il film, distribuito dalla Universal Pictures, è nei cinema italiani dal 10 aprile.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Ha una spiccata personalità registica.
  • Begli effetti visivi.
  • Un paio di sequenze denotano grande intensità drammatica e spessore emotivo.
  • Stenta ad appassionare e coinvolgere, per lo più annoiando.
  • Qualche soluzione narrativa troppo audace rischia di far scadere il tutto nel grottesco.
  • La durata eccessiva: 138 minuti pesano eccome!
  • Scrittura per lo più debole.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Noah, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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