Orphan: First Kill, la recensione

Era il 2009 quando il giovane regista spagnolo Jaume Collet- Serra, ispirandosi alla vera storia della criminale Barbora Skrlova, portò sul grande schermo una delle storie horror più inquietanti degli anni duemila e più amate dagli appassionati del genere. Stiamo parlando del film Orphan, la cui protagonista, la piccola Esther, non è altro che una criminale che, sfruttando la disfunzione ormonale che le conferisce l’aspetto di una bambina nonostante i suoi trent’ anni, convince intere famiglie a farsi adottare per poi seminare al loro interno dolore e morte.

Il film fu un successo mondiale talmente enorme da rappresentare un trampolino di lancio sia per Collet – Serra (in questo periodo sulla cresta dell’onda grazie al blockbuster Black Adam), sia per la giovanissima Isabelle Fuhrman la quale, al di là della più che buona carriera fatta in seguito, è riuscita in un’impresa non da poco: entrare nell’immaginario iconografico del genere horror.

Quante volte, infatti, abbiamo visto le sue treccine innocenti, il suo sorrisetto da bambina furbetta e adorabile e i suoi laccetti su collo e viso campeggiare, insieme alle altre icone orrorifiche, su disegni e grafiche presenti all’interno di gruppi degli amanti dell’horror? Tantissime, anzi infinite. Dato che conferma quanto il nostro amato genere viva anche, e soprattutto, della potenza delle immagini e di quanto esse restino scolpite nell’immaginario collettivo.

A distanza di tredici anni, la piccola Esther torna a far danni e a rivivere grazie ad un prequel, dal titolo Orphan: Firts Kill, al cui timone troviamo un altro regista molto famoso e apprezzato dal pubblico, quel William Brent Bell reduce dai successi dei due The Boy e autore degli apprezzabili La metamorfosi del male e Separazione. Il risultato, pur non essendo minimamente paragonabile al gioiellino del 2009, è un film nel complesso ben riuscito, dal buon ritmo e capace di regalare ottimi momenti di tensione e una storia accattivante grazie ad un colpo di scena, piazzato nei modi e nei tempi giusti. Insomma, non è assolutamente il disastro temuto alla vigilia, ma di certo non resterà tra i migliori lavori del bravo Brent Bell, il quale dimostra ancora una volta padronanza degli stilemi dell’horror.

Estonia, 2007. La trentenne Leena è affetta da una patologia endocrina che le ha bloccato la crescita, condannandola così ad avere per sempre l’aspetto di una bambina. Tale problema, tuttavia, la porta a sviluppare un istinto criminale, a causa del quale viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico e classificata come paziente altamente pericoloso. Riuscita a fuggire anche da questo centro, Leena trova il modo per trasferirsi negli Stati Uniti, assumendo l’identità di Esther, una bambina scomparsa quattro anni prima. Il ritorno nella sua “nuova/vecchia famiglia”, però, non sarà come nei suoi piani e la protagonista si troverà difronte ad un intoppo non da poco.

Oprhan: Firt Kill, come detto in precedenza, non è da considerarsi un brutto film, anzi piuttosto gradevole e di buon intrattenimento, ma presenta evidenti problemi strutturali e di concetto, derivanti da un grande equivoco di fondo legato proprio a William Brent Bell. Quest’ultimo, infatti, ha dimostrato nel corso della sua carriera di dare il meglio di sé quando riesce a costruire il suo film con tempi in apparenza lenti, per poi sferrare nella seconda metà il twist finale che cambia le carte in tavola. Una caratteristica, questa, purtroppo non del tutto adeguata per un prequel in quanto la prima mezz’ora abbondante viene percepita come una quasi pedissequa ripetizione del suo predecessore, con la brava Isabelle Fuhrman – forse un po’ troppo cresciuta per risultare credibile nei panni del suo personaggio – che si esibisce in una serie prevedibile di omicidi, racchiusi all’interno di un plot che poco aggiunge alla storia già nota a tutti. Una piattezza mitigata, tuttavia, dalla mano sicura ed esperta di Brent Bell e dalla sua capacità di creare atmosfere inquietanti, regalare le giuste dosi di violenza e infondere quella tensione sempre ben accetta e di impatto, almeno per un pubblico meno alfabetizzato col genere.

La vera svolta, però, avviene nella seconda parte nella quale irrompe il succitato colpo di scena che, oltre a cambiare totalmente il punto di vista della storia, trascina lo spettatore in un gioco delle parti nel quale è obbligato a simpatizzare per protagonisti in ogni caso negativi, quasi a dovere scegliere quale sia il male minore. Una frazione di film che si fa forte di un ritmo decisamente più pimpante, omicidi ancora più efferati e una cattiveria che pervade non solo Esther ma anche le figure che la circondano e che proprio per questo rende il plot avvincente, teso e carico di suspense.

Volendo tirare le somme, William Brent Bell sembra liberarsi a poco a poco delle catene iniziali e inserisce molto della sua personalità autoriale per non rendere il film un noioso e maldestro prequel. Operazione riuscita solo per metà, ma Oprhan: First Kill è comunque un film consigliato per passare una serata tra amici che vogliono provare qualche piccolo innocente brivido… e anche per rivedere il bel primo capitolo del 2009.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • La seconda parte è davvero gradevole con tanto di colpo di scena spiazzante.
  • Omicidi efferati e scene di tensione ben costruite.
  • La prima metà è piatta e troppo conforme al film del 2009.
  • Isabelle Fuhrman è troppo cresciuta per risultare credibile nei panni della malefica Esther.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Orphan: First Kill, la recensione, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

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