Sette minuti dopo la mezzanotte, la recensione

Questa storia incomincia come molte storie, con un ragazzo troppo grande per essere un bambino e troppo piccolo per essere un uomo…

Con questo singolare “c’era una volta”, il talentuoso J.A Bayona apre la sua nuova favola cinematografica e sin dai primi minuti torna a farci respirare quelle atmosfere, decadenti ma sognanti, che avevano contraddistinto il bellissimo The Orphanage, suo film d’esordio. Dopo la parentesi mainstream di The Impossibile, il regista spagnolo ci immerge in una nuova storia minimale che utilizza il fantastico, o meglio ancora la “favola”, per raccontare in realtà una storia drammatica fondata sulle più profonde paure che risiedono nell’animo di un bambino: la solitudine legata alla perdita dei propri genitori.

Tratto dall’omonimo romanzo per ragazzi (A Monster Calls), vincitore nel 2012 della Carnegie Medal e della Kate Greenway Medal per il miglior libro per bambini, il film racconta la storia di Conor, un bambino molto introverso alle prese con una vita davvero difficile. Figlio di genitori separati, Conor vive in casa da solo con sua madre la quale entra ed esce dagli ospedali poiché malata di cancro terminale. Conor, nonostante la sua giovane età, ha imparato a prendersi cura della madre e non riesce ad avere un buon rapporto con sua nonna materna. Incapace di trovare una distrazione a scuola, anzi vittima di bullissimo, Conor si rifugia ogni sera nella sua cameretta dedicandosi al disegno e alla pittura, un talento trasmessogli proprio da sua madre. Una sera come tante, il piccolo Conor riceve la visita di una gigantesca creatura millenaria nata da un albero di tasso. Il Mostro è giunto dal bambino per aiutarlo a rimettere ordine nelle sofferenze della sua vita e lo farà raccontandogli tre storie alle quali ne dovrà seguire una quarta, quella di Conor, legata alla sua “verità” e indispensabile per riparare la sua vita infelice.

A Monster Calls, ribattezzato in Italia con un sensato Sette minuti dopo la mezzanotte, di sicuro non è un film facile. Anzi, è un’opera così stratificata e ricca di allegorie e metafore da necessitare più visioni per poter cogliere tutto in modo ottimale.

Avvalendosi di una storia che parla – anche – di bambini, senza per questo essere un film per bambini, Bayona mette in scena una vicenda che ha un enorme valore terapeutico e che riesce a raccontare, come forse nessuno era mai riuscito prima d’ora, un delicatissimo aspetto della coscienza infantile che risiede in ogni bambino ma sul quale, raramente, viene posta la giusta attenzione. La tematica che sorregge l’intero film, infatti, è la paura estremamente interiorizzata di Conor di rimanere solo. Una solitudine metaforica ma spaventosamente reale per un bambino in una situazione anomala e disagiata. Con un padre che è sempre stato assente, che vive in un’altra città dove si è rifatto una famiglia, e una nonna “vecchia” e severa pronta a sgridarlo di continuo, Conor ha incentrato su sua madre (come tutti i bambini, in fin dei conti) tutto il suo mondo e adesso che sa di doverla perdere da un momento all’altro, impotente davanti a questa realtà che lo fa soffrire, non può far altro che rifugiarsi in un suo mondo e crearsi un amico immaginario (ereditato anche questo da sua madre?) che possa aiutarlo a superare questa difficile situazione facendogli metabolizzare rabbia, paura e sofferenza.

Una favola che non ha nulla di effimero e scontato e, pur parando di un bambino, si rivolge in modo inequivocabile agli adulti con il chiaro scopo di aiutare questi ultimi a capire maggiormente cosa possa nascondersi dietro un semplice “non detto” di un bambino e cosa possa spingerlo ad assumere determinati atteggiamenti o stati d’animo. L’incomprensione, infatti, diventa un altro elemento portatane del racconto e nel film assume una duplice valenza: da una parte abbiamo l’incomprensione degli adulti verso le sofferenza dei più piccoli (il rapporto che Conor ha, appunto, con sua nonna e suo padre) ma dall’altra c’è anche l’incomprensione che ha lo stesso Conor verso i propri sentimenti, afflitto da incubi ricorrenti a cui non riesce a dare un chiaro significato psicologico anche se direttamente collegati alla malattia della madre. Un’incomprensione che affligge e che porta sofferenza ma che comunque è inevitabile perché l’uomo è una “creatura” complessa che non sa farsi piacere quello che non capisce (come viene detto nel film, in una delle sequenze più belle in cui si ricorre alla metafora di King Kong).

A. Bayona, grazie alla delicatezza che contraddistingue la sua poetica, non solo è la persona adatta per poter trainare un “carro” di questa portata ma è anche, probabilmente, l’unico che avrebbe potuto rendere così efficiente la trasposizione di un romanzo come A Monster Calls senza cadere nel ridicolo o eccedere in patetismi. Sette minuti dopo la mezzanotte trova un equilibrio perfetto e magistrale tra realtà e fantasia e mette in piedi una giostra in cui il favoloso è nettamente, e giustamente, al servizio del drammatico mondo reale. Bayona non solo riesce a calibrare nel modo migliore gli equilibri interni alla storia, ma scatena tutta la sua fantasia e visionarietà attraverso autentici colpi da maestro che trovano la massima espressione stilistica nelle suggestive sequenze animate a cui si ricorre durante i racconti del Mostro.

Ad avvalorare l’opera, si aggiunge un cast di prim’ordine in cui spadroneggia il bravissimo Lewis MacDougall (Conor) che riesce a tenere testa, come pochi altri, ad attori di un certo spessore come Sigourney Waver (nei convincenti panni della severa nonna), Felicity Jones e uno strepitoso Liam Neeson che, per l’occasione, presta la sua profonda voce al Mostro.

Certamente non siamo di fronte ad un film adatto a tutti i palati e qualcuno potrebbe risentirne del ritmo pacato che pervade l’intera pellicola o della massiccia dose di tristezza e depressione che si respira dal primo fino all’ultimo minuto. Bayona, però, sa molto bene che nella vita reale non esiste solo il bianco e il nero. Per passare da quest’ultimo al bianco bisogna inevitabilmente attraversare una lunga e sofferta scala di grigi.

Un piccolo capolavoro capace di scuotere l’animo, l’intelletto e la coscienza di tutti. Grandi e meno grandi.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un film delicato come pochi e dal valore fortemente terapeutico.
  • Bayona trova il giusto modo per inserire l’elemento fantastico in una storia drammatica.
  • Registicamente sublime.
  • Attori in stato di grazia con il giovane, e bravissimo, Lewis MacDougall in prima linea.
  • Un film complesso capace di parlare al cuore e alla mente.
  • Qualcuno potrebbe trovarlo un po’ lento.
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Valutazione: 9.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Sette minuti dopo la mezzanotte, la recensione, 9.0 out of 10 based on 1 rating

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