Smetto Quando Voglio – Masterclass, la recensione
La banda dei ricercatori universitari, capeggiata dal neurobiologo Pietro Zinni, sta per essere ricomposta per tornare in azione. A volerli nuovamente sul campo è l’ispettore dell’anti-droga Paola Coletti che ha ben pensato di contattare Zinni e la sua squadra per mettere in piedi una task force segretissima in grado di individuare e fermare il dilagare delle smart drugs. La ricompensa per tutta la banda sarà l’ottenimento della fedina penale pulita. Il neurobiologo, il chimico, l’economista, l’archeologo e i latinisti torneranno sul campo, fianco a fianco, ma stavolta per portare a termine questa nuova missione c’è bisogno di estendere la squadra e reclutare nuovi membri. Occorre riportare in Italia due “cervelli in fuga” emigrati all’estero.
In Italia non siamo troppo abituati ai sequel. Anzi, c’è da dire che la serialità applicata al cinema è un fenomeno che non rientra nella nostra cultura. Nel passato più o meno recente, se andiamo ad indagare nella commedia italiana, qualche timido tentativo di serializzare un prodotto vincente lo abbiamo anche avuto (in un paio di casi c’ha provato Fausto Brizzi e poi ci sono stati i Soliti Idioti) ma in tutti i casi si è trattato di operazioni inconsistenti in cui – stringi, stringi – di sequel vero e proprio c’era poco e niente. Nessuna narrazione che progredisce verso nuove direzioni e nessun personaggio che “cresce” di conseguenza, bensì prodotti autonomi in cui il concetto di “sequel” si esauriva nel titolo e, spesso, ancor prima.
Nel caso di Smetto quando voglio – Masterclass, invece, il discorso è nettamente diverso. Ci troviamo davanti ad un prodotto che conosce molto bene il significato della parola “serialità” così come tutte le sue regole, un film temerario (o incosciente) che decide di sposare ad occhi chiusi le logiche produttive americane al punto tale da mettere in piedi una vera e propria saga cinematografica. Non un solo sequel ma ben due. Un racconto destinato a diventare una trilogia in cui, proprio come da lezione Matrix o I Pirati dei Carabi, il secondo e il terzo capitolo (Smetto quando voglio – Ad Honorem) sono stati realizzati contemporaneamente come fossero un solo, unico, grande ed epico film.
Una scelta ammirevole, non c’è che dire, quella presa dai produttori Domenico Procacci, Matteo Rovere e successivamente sposata da Rai Cinema. Così come ammirevole è anche la sicurezza ostentata dal giovane regista salernitano, Sydney Sibilia, che ha deciso di iniziare la carriera con una trilogia così corposa ed ambiziosa.
Quello che resta da chiedersi adesso è se Smetto quando voglio fosse davvero il progetto giusto da serializzare.
La risposta, probabilmente, è si e per differenti motivi che includono il grandissimo clamore (indubbiamente esagerato) suscitato dal primo film in unione a quel mood fumettistico che delineava situazioni e personaggi e che ben si sposa al seriale, perché si sa, è roba che piace ai giovani.
Smetto quando voglio – Masterclass, dunque, nasce come un vero e proprio film di transizione. Un “ponte” necessario a ricontestualizzare gli elementi del primo film cercando, al tempo stesso, di gettare le basi per tutto ciò che dovrà accadere nel terzo ed ultimo capitolo. Di conseguenza, questo Masterclass, è un film che non può godere di una propria autonomia e che parla necessariamente a tutti coloro che hanno visto il primo film e che sono intenzionati a vedere anche il terzo.
Quest’intento di proseguire la storia dei ricercatori-ricercati con una narrazione ad incastro risulta indubbiamente vincente e, a conti fatti, rappresenta la migliore intuizione del progetto. Lodevole è la capacità di Sibilia e dei due sceneggiatori Francesca Manieri e Luigi Di Capua di realizzare un anomalo sequel che, anziché “seguire”, si incastra a perfezione all’interno del primo film.
Masterclass, infatti, si pone non come sequel diretto ma attraverso un’interessante analessi ci racconta cosa è accaduto in quel frangente di tempo – sorvolato nel primo capitolo – che segue l’arresto della banda ma precede la nascita del figlio di Pietro Zinni. Grazie a quest’interessante espediente narrativo, Sibilia si diverte a sperimentare e a riproporre intere sequenze già viste nel primo film ma, questa volta, raccontateci da un punto di vista alternativo. Un gioco di finezza narrativa per nulla banale, che può essere colto ed apprezzato solo da chi, il primo film, lo ricorda in modo impeccabile.
Apprezzabili sono anche le new entry tra i personaggi principali. Tra questi troviamo un simpatico Marco Bonini che, in qualità di anatomista teorico di fama mondiale, svolge la funzione di action-man della compagnia e si rende protagonista di alcune tra le situazioni più riuscite del film. Meritevole, anche se non ancora del tutto sviluppato, il personaggio interpretato da Giampaolo Morelli, un laureato in ingegneria meccatronica costretto a riciclarsi come venditore di armi e che in Masterclass ci viene raccontato come una sorta di “Q” dell’universo di James Bond. Ma a prospettarsi interessante è anche il villan della situazione, un inedito Luigi Lo Cascio, in questo sequel solamente introdotto ma destinato a ricoprire un ruolo fondamentale nell’episodio conclusivo.
Ma se la costruzione è vincente e i nuovi personaggi, per lo più, sono interessanti, cosa c’è di stonato all’interno di questo secondo film di Sibilia? A non convincere a pieno è la seconda faccia della sceneggiatura a causa di una narrazione troppo presa ad apparire “cool” da dimenticare di dover essere anche divertente. Il film, infatti, nelle sue eccessive due ore di durata, riesce ad annoiare e risulta squilibrato nella gestione dei tempi per colpa di una prima parte di presentazione troppo lunga. Tutti i personaggi, vecchi e nuovi, vengono ripresentati da zero e così facendo la storia entra nel vivo quasi a quaranta minuti di film.
La componente comedy è notevolmente in calo e i momenti divertenti, affidati per lo più al sempre simpatico Stefano Fresi e ad un Edoardo Leo che continua ad interpretare Pietro Zinni con i tempi e i modi di un personaggio verdoniano degli anni ’80, si concludono troppo spesso con situazioni esageratamente chiassose e sopra le righe.
Convince a metà il tentativo di ibridare la commedia con l’action di stampo hollywoodiano. Un miscuglio che si traduce in sequenze action estremamente goffe e che si spera siano meglio curate in Smetto quando voglio – Ad Honorem, attualmente in post-produzione.
Un’operazione riuscita solo in parte, dunque, che da un lato porta la storia in una direzione ammirevole capace di continuare i fatti del primo film pur prendendone le distanze, ma dall’altro lato si dimostra un po’ troppo grossolana nella gestione di tempi e situazioni.
Il film si chiude con il trailer di Smetto quando voglio – Ad Honorem. Aspettiamo di vedere il capitolo conclusivo per capire la reale bontà di questo lungo capitolo di transizione.
Giuliano Giacomelli
PRO | CONTRO |
|
|
Lascia un commento