Son, la recensione

Se pensiamo al concetto di maternità nell’accezione imposta dalla nostra società, la mente va subito ad una visione aulica dell’evento, inteso come sublimazione dell’amore tra uomo e donna e la creazione di una famiglia di matrice cattolica. Immaginiamo subito, poi, fiocchi blu o rosa che campeggiano davanti le case di giovani coppie pronte ad accogliere e coccolare un neonato adorabile e dolce. Tutto molto bello e romantico e nessuno mai penserebbe a qualcosa di brutto e malvagio, per non dire diabolico. Cosa succederebbe, però, se ad uscire dal grembo materno fosse il figlio dell’anticristo? Come reagirebbe un genitore diviso a metà fra amore per il proprio figlio e volontà di combattere il maligno? Interrogativi che nel cinema horror sono stati posti in più occasioni, soprattutto nel capolavoro di Roman Polanski Rosemary’s Baby o un altro cult come Omen – Il presagio.

Un filone, quello della maternità demoniaca, che trova una sua interessante e ben riuscita chiave di lettura e rappresentazione in Son di Ivan Kavanagh il quale cerca di dare una sterzata definitiva alla sua carriera con un horror ambizioso e davvero di ottima fattura. Il nuovo lavoro del regista irlandese, infatti, si rivela un film dai contorni truculenti e marci il cui grande punto di forza è quello di disorientare lo spettatore, mettendolo davanti ad una storia in cui l’amore di una madre si scontra in maniera così veemente con il potere di forze demoniache che si impossessano del figlio, al punto da non riuscire più a distinguere tra il bene e il male.

Il tutto incastonato all’interno di atmosfere spaventose e immagini sanguinolente dal grosso impatto simbolico e visivo. Insomma, un horror che ambisce a infondere terrore non tanto grazie ai soliti mezzi e stilemi, ma anche e soprattutto tramite interrogativi, dubbi e spunti di riflessione non comuni in film di tale genere, soprattutto negli ultimi anni.

Laura è una giovane maestra di scuola elementare che trascorre una vita serena con suo figlio David, bambino molto vivace e intelligente. La tranquillità dei due, tuttavia, viene scossa dalla visita di persone ambigue nella camera di David al seguito della quale il piccolo viene affetto da una malattia misteriosa che gli provoca dolori alla testa a e allo stomaco. Inizia così per Laura un lungo calvario che porterà la donna a scavare nel suo passato controverso e vivere un conflitto interiore a metà tra amore materno e follia omicida.

Una giovane donna partorisce in macchina nel bel mezzo di una notte buia tempestosa, location che lascia intendere che il bambino non nasce sotto i migliori auspici. Questo incipit, alquanto tetro e oscuro, lascia subito presagire come Kavanagh intenda immergere fin da subito lo spettatore in una spirale di terrore e atmosfere tetre e cupe, nella quale ogni sussulto e spiraglio di normalità quotidiana per i protagonisti diventano solo una mera illusione al cospetto dell’orrore che sta per travolgerli.

Il senso di mistero e di oppressione sono posti al centro di uno script con il quale Kavanagh dimostra di non voler declinare il filone demoniaco nella solita maniera commerciale e dozzinale, ma di utilizzare i suoi stilemi per riflettere sull’amore di una madre nei confronti di un figlio e su quanto sia labile il confine tra il bene e il male.

Ciò che fa davvero paura e incute inquietudine allo stato puro, infatti, è il conflitto interiore che vive Laura la cui mente offuscata e perversa manda in confusione sia lo spettatore che le figure che la circondano: è il bambino a essere maledetto o è tutto frutto della fantasia di una donna aggressiva e con istinti omicidi, mascherati dalla volontà di assecondare la fame di sangue e carne del suo piccolo? Un interrogativo che pervade tutto lo svolgersi di una storia che scorre via tra dialoghi ben calibrati, ritmi nel complesso gradevoli e uno svolgimento che, seppur non del tutto originale, appassiona e conferisce al film un’aura di gradevolezza.

Il tutto, però, non viene accompagnato da un impianto visivo all’altezza della situazione con effetti speciali e trucchi non memorabili e una gestione della tensione non sempre ottimale e sequenze dal tasso di suspense molto altalenante. L’unica eccezione è rappresentata, tuttavia, da una feroce, sanguinolenta e crudissima scena nella stanza di un motel nella quale si racchiude l’intera essenza del film, ovvero quel contrasto tra amore di una madre e la volontà di combattere il male. Son, dunque, si può riassumere in questo concetto ambizioso e molto profondo che Kavanagh riesce a sviluppare con cura e attenzione, senza cadere in ridondanze, concetti banali e buonisti.

Son in conclusione è un horror di buona qualità e impatto, che però mostra qualche limite da parte del regista irlandese nel mettere su scene di tensione e nel comparto visivo.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Kavanagh offre una visione non convenzionale del filone demoniaco.
  • La storia pone interrogativi e riflessioni profonde.
  • La scena del motel è un piccolo gioiello emotivo di violenza fisica e psicologica, tensione e stile.
  • La storia si sviluppa su binari non proprio originali.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Son, la recensione, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

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