The Holdovers – Lezioni di vita, la recensione

Dicembre, 1970. La neve bianca e soffice che avvolge ogni cosa, gli addobbi di Natale, i coretti della scuola, l’eccitazione collettiva per l’arrivo delle vacanze ed una guerra in Vietnam che continua silenziosa e sanguinosa ma che ormai non scuote più la coscienza della gente comune. Le festività natalizie, che da sempre rappresentano un momento speciale di unione e condivisione, possono essere anche l’esatto opposto per qualcuno. È proprio quello che succede in un college del New England, nella prestigiosa Barton Academy, a Paul Hunham, Angus Tully e Mary Lamb, rispettivamente un docente di storia particolarmente esigente, uno studente brillante ma problematico e la cuoca della mensa che piange in silenzio la morte di suo figlio in Vietnam.

Quando il college chiude per le festività di Natale, la presidenza chiede proprio al professor Hunham di rimanere a vegliare sugli studenti che non hanno un posto dove andare a trascorrere le feste. Tra questi c’è appunto Angus Tully, che detesta il professor Hunham ma essendo stato “dimenticato” dai genitori deve accettare l’idea di trascorrere le feste di Natale proprio con quella carogna che deve sopportare tutto l’anno. Testardi ma ugualmente inadeguati nei confronti del mondo, Paul e Angus devono sforzarsi di trovare un punto d’incontro sotto lo sguardo silenzioso e paziente di Mary Lamb.

Il 2023 è stato indubbiamente un anno ricco di belle sorprese cinematografiche, non c’è che dire. Abbiamo assistito all’uscita di grandissimi film, c’è stato il ritorno di alcuni indiscutibili Maestri della Settima Arte e finalmente – in quest’era post-covid – i botteghini di tutto il mondo sono tornati a fare incassi notevoli e promettenti.

Certo siamo solo all’inizio, quindi è prematuro cantare vittoria, ma anche il 2024 sembra essersi aperto con i migliori propositi.

In questi primissimi giorni dell’anno, infatti, le nostre sale stanno facendo registrare di nuovo grandi risultati grazie a Il ragazzo e l’airone, l’ultimo e apprezzato film di Hayao Miyazaki, e al bellissimo Perfect Days di Wim Wenders.

Ed è proprio a quest’ultimo film di Wenders che ci vogliamo agganciare per iniziare a parlare di The Holdovers – Lezioni di vita di Alexander Payne.

Mettiamo subito le mani avanti per non creare misunderstanding, il film di Wim Wenders e questo di Alexander Payne non hanno assolutamente nulla in comune. Appartengono a generi diversi, ricorrono a linguaggi differenti e si fanno riflesso di due cinematografie che sono praticamente opposte.

Eppure, a parere di chi scrive, c’è un sottilissimo filo invisibile che unisce le due pellicole. C’è un’umanità artistica molto viva che mette in correlazione le due opere. Certo, il film di Wenders si muove nella direzione di un cinema molto adulto e contemplativo, rigorosamente animista nei contenuti, mentre quello di Payne ha delle dinamiche più “costruite” e vicine alle sfumature della commedia. Eppure, entrambi i film – fermo restando le suddette personalità artistiche molto diverse – sembrano intenzionati a spiegarci come sono fatti gli esseri umani.

Che sia Hirayama, l’addetto alle pulizie di Tokyo, o che siano Paul Hunham e Angus Tully, in entrambi i casi abbiamo a che fare con le “pedine” di due autori che ci raccontano l’essere umano nelle sue sfumature più delicate e profonde. Wim Wenders, con Hirayama, prende il punto di vista di chi ha fatto pace con i propri demoni, di chi ha capito che in qualche modo si può sempre andare avanti perché la vita, tutto sommato, è bella e vale la pena di essere vissuta (soprattutto se si riesce a dare valore alle piccole cose); Alexander Payne, al contrario, pone il suo focus su due individui che questa consapevolezza non l’hanno ancora raggiunta.

Ma forse la raggiungeranno presto.

I suoi protagonisti sono ancora accecati dalle proprie frustrazioni e dai propri dolori, non sono ancora pronti ad aprire il cuore al mondo circostante. Paul e Angus non hanno raggiunto quella pace “zen” di Hirayama, sono ancora mossi da un eccessivo rancore nei confronti del mondo circostante e, seppur in modo diverso, nessuno dei due sa dominare e amministrare la rabbia nei confronti di quella società che sembra averli messi con le spalle al muro.

Avevamo lasciato Alexander Payne nel 2017, quando ci aveva regalato il curioso ma poco entusiasmante Downsizing – Vivere alla grande. Adesso, dopo sei lunghi anni, è tornato in grandissima forma proprio con The Holdovers – Lezioni di vita, un delizioso racconto di formazione che sembra voler riproporre tutto il meglio della sua cinematografia passata (da Sideways – In viaggio con Jack a Nebraska), a partire proprio dall’attore scelto per dare corpo al protagonista, l’odioso e pignolo professor Hunham, interpretato da un gigantesco Paul Giamatti qui alle prese con una delle migliori performance di tutta la sua carriera.

Dopo appunto Sideways, Giamatti torna ad essere diretto da Payne e dà vita ad un’interpretazione straordinaria, divertente e dalle mille sfumature: Paul Hunham è un uomo solo, è sempre stato solo, ed è proprio la solitudine ad averlo reso l’uomo che è oggi. Ligio al dovere, pignolo come pochi, devoto all’eccellenza e intollerante verso qualsiasi forma di privilegio e agiatezza. La vita con lui non è stata gentile ed è determinato a restituire il favore. Ma la sua, ovviamente, è solo una corazza perché sotto quella maschera da “stronzo” si nasconde un docente che ama davvero il proprio mestiere e che ha a cuore la formazione dei propri studenti molto di più di quello che si potrebbe pensare di primo acchito.

Ma se Paul Giamatti è assolutamente da applausi non è certo da meno – anzi – il suo co-protagonista, l’esordiente Dominic Sessa che interpreta lo studente indisciplinato Angus Tully. Dominic Sessa è un portento della recitazione, un attore carismatico e magnetico che riesce a rubare continuamente la scena a tutti. Un esordiente che sembra avere già la sicurezza e la spontaneità di un veterano della recitazione.

A loro due, in un ruolo secondario ma necessario per completare il trio, si affianca Da’Vine Joy Randolph (già in odore di Oscar), che interpreta la cuoca Mary Lamb. Lei è la più invisibile fra gli invisibili, un’autentica outsider, così imprigionata nel suo ruolo di “cuoca della mensa” da non poter concedersi il tempo di fare la mamma che piange il proprio figlio morto sul campo di battaglia in Vietnam.

Tre protagonisti, dunque, tre povere anime abbandonate a cui la società ha tristemente e cinicamente voltato le spalle. Tre personaggi che non hanno ancora trovato un loro posto nel mondo e che, forse, ormai non lo troveranno più. In un momento dell’anno (le feste di Natale) in cui tutti sono impegnati a farsi regali e a professare vicinanza e fratellanza, loro possono solo starsene a guardare e a vedere – sulla loro pelle – un incremento della distanza tra felicità e tristezza. Si, perché come diceva Christopher McCandless nel romanzo/film Into the Wild, la felicità è reale solo se condivisa.

E quindi Paul, Angus e Mary come possono essere felici? Come possono esserlo se la Vigilia di Natale diventa per loro il momento dell’anno più importante in cui riflettere e meditare su fallimenti e insuccessi?

Forte di una sceneggiatura pressoché perfetta scritta da David Hemingson, The Holdovers – Lezioni di vita è un potentissimo film di formazione capace di parlare a tutta la famiglia e che vuole riflettere, prima d’ogni altra cosa, sulla solitudine degli esseri umani e su tutta quella gamma di sofferenze sottaciute e piccoli dolori che si annidano nella parte più nascosta di ognuno di noi. Paul, Angus e Mary, pur nelle loro enormi differenze socio-culturali, sono tre individui ugualmente soli al mondo e tutti e tre sono lacerati da sofferenze che hanno deciso di non condividere con nessuno. Perché se quel dolore viene trattenuto, soffocato, persino ignorato, allora forse quel dolore fa meno male.

The Holdovers – Lezioni di vita è un’opera di gran cuore. Ma è anche un piccolo manuale di recitazione grazie a tre interpreti che recitano in assoluto stato di grazia. Eppure, l’ultima fatica di Alexander Payne ha anche un’altra freccia nel proprio arco, e forse è persino la più importante.

Ambientato durante le festività tra il 1970 e il 1971, The Holdovers si unisce al nutrito coro di tutti quei film che giocano alla rievocazione del cinema del passato. Un cinema nostalgico, dunque, che prova a catapultare lo spettatore nel passato e a fargli rivivere la magia cinematografica di alcuni decenni d’oro. Ed è qui che si annida l’indiscutibile forza di The Holdovers. Payne non si limita a mettere in scena un giochino sterile ed autoreferenziale come spesso accade in queste operazioni “nostalgia”. Payne non vuole solo ricordarci quel cinemam ma il suo intento è proprio rifare quel cinema lì.

Così The Holdovers – Lezioni di vita sembra davvero un film realizzato nel 1970, tanto che in alcuni momenti la visione sa essere persino destabilizzante. La grana fotografica, le tonalità cromatiche, le facce degli attori, le musiche e i font usati per i titoli di testa e di coda, ma anche la ritmica della narrazione, l’umorismo, il linguaggio adottato. Tutto, ma proprio tutto è studiato in modo maniacale per riportare lo spettatore a quel cinema prodotto e distribuito negli anni ‘70.

Senza troppi problemi, potremmo considerare The Holdovers – Lezioni di vita come una sorta di fusion tra The Breakfast Club di John Hughes (con cui il film di Payne ha moltissimi punti in comune) e L’attimo fuggente di Peter Weir, dove viene presa la leggerezza e la frizzantezza del primo e cucita con la profondità e la poesia del secondo.

Con The Holdovers – Lezioni di vita potrebbe essere nato un nuovo piccolo cult natalizio, anzi, siamo piuttosto sicuri che se Payne avesse realizzato questo film davvero nel 1970 oggi sarebbe considerato all’unanimità un comfort-film per le feste di Natale da vedere e rivedere insieme a titoli come La vita è meravigliosa, Mamma ho perso l’aereo e Una poltrona per due.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un racconto di formazione a sfondo natalizio, ambientato nel 1970 ma assolutamente senza tempo.
  • Alexander Payne realizza un film sincero, carico di cuore e conoscenza verso l’essere umano.
  • Paul Giamatti, Dominic Sessa e Da’Vine Joy Randolph sono tre attori in assoluto stato di grazia.
  • Il look anni ‘70 è eccezionale, quasi destabilizzante per quanto accurato.
  • Potrebbe essere nato un nuovo cult di Natale.
  • Nulla in particolare.
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