Tutti gli uomini di Victoria, la recensione
La regista Justine Triet firma una commedia fresca, che descrive con brio sfide e contraddizioni inevitabilmente appartenenti alla donna di oggi, incarnata della ‘Katherine Heigl d’oltralpe Virginie Efira.
Tutti gli uomini di Victoria è una pellicola classica eppure originale che, strizzando l’occhio al brillante spirito americano, ben sfrutta le potenzialità narrative offerte dal genere comico.
L’avvocato penalista Victoria Spick è un’affabile ma patologicamente disorganizzata madre single che tenta di conciliare il suo impegno nel lavoro all’appagamento sessuale affidandosi a improbabili incontri online. Il suo già fragile microcosmo è destinato a sgretolarsi quando decide di difendere il suo amico Vincent (Melvil Poupaud), accusato di aggressione nei confronti della compagna, e, contemporaneamente, il suo ex (Laurent Poitrenaux) inizia a raccontare su internet i dettagli più imbarazzanti e intimi della sua vita.
Grazie a una scrittura stravagante e accurata, nel secondo lungometraggio della Triet convivono autentico intrattenimento, un ritratto leggero ma acuto della società e una protagonista accattivante e complessa. La reciproca contaminazione tra lavoro e vita privata, infatti, dà vita a una serie di situazioni paradossali ed esilaranti, che siano sedute di psicoanalisi o deposizioni in tribunale.
Tutti gli uomini di Victoria non ha paura di giocare con i suoi limiti, anche se ciò implica svelare i propri difetti. Il risultato è un film in elegante equilibrio tra humour eccentrico e affresco della realtà in cui viviamo che, con efficace coerenza e un pizzico di fantasia, fanno da cornice alle peripezie di una figura femminile stralunata e caotica. Una donna che, in effetti, potrebbe essere ciascuna di noi.
Chiara Carnà
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