Venezia 71. Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, la recensione

Un film che ha vinto il tanto agognato Leone D’Oro alla 71esima edizione del Festival di Venezia, ma che l’ha anche, senza dubbio, diviso. C’è chi lo ha amato, chi l’ha odiato, chi non l’ha capito e chi l’ha capito, magari anche apprezzato, ma che è sicuro della sua vittoria immeritata. In effetti A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence è un film che non ha mezze misure, che si ama o si odia, capitolo conclusivo di una trilogia sull’esistenza (Songs from the Second Floor e You, the Living sono i due titoli precedenti) che forse in Italia non vedremo mai completa.

I volti delle creature del regista svedese Roy Andersson sono cadaverici e incerati, uno dei tanti rimandi al teatro dell’assurdo; sì, perché la pellicola si avvicina più al teatro che al cinema, ma non ad un teatro come tutti gli altri, bensì un teatro come quello di Beckett. Come su un palco teatrale, infatti, Andersson gioca con la profondità degli spazi su un’inquadratura fissa, mentre i personaggi recitano quasi sempre frontalmente. La pellicola si svolge in 39 differenti spazi fissi e statici, dove solo i personaggi si muovono, lenti e con le loro maschere di cerone, forse già morti senza saperlo. Già, perché la pellicola svedese in effetti è di questo che parla, della morte. Lunghissimi piani sequenza ci raccontano tre grotteschi lutti pregni di humor nero e legati tutti insieme da un filo conduttore: due strambi venditori di scherzi e maschere di carnevale che attraversano tutti i 39 quadri di cui è formato il film con i loro strani prodotti.

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Il titolo, che già ci fa capire di che pasta è fatta la pellicola, è ispirato al quadro Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel, dedicato allo studio dei comportamenti umani e alla loro stranezza visti con un occhio esterno, come quello del piccione di Andersson, che ci spia dall’alto del suo ramo con distacco. E proprio il distacco dalla realtà è il tema portante del film, insieme al surrealismo, al paradosso e ad un’ironia spiazzante che permeano l’esistenza dei protagonisti della pellicola che vivono sulla loro pelle, in maniera del tutto passiva, la miseria, la morte e la superficialità del quotidiano in cui ci si affanna inutilmente a compiere gesti di convenzione dimenticando le ragioni primarie che stanno alla base dell’esistenza.

A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence sembra, però, essere costruito appositamente per far gridare al capolavoro, ed è lungo, tanto lungo! I tempi di ogni episodio sono estremamente dilatati, anche se volutamente, e rischiano di annoiare e deconcentrare un pubblico già poco abituato ad uno stile tanto diverso dal solito. Ogni episodio, inoltre, è troppo diverso dal precedente e la pellicola non riesce catturare e imprigionare lo spettatore all’interno dell’intreccio, che in effetti è inesistente. Ecco perché la pellicola ha così diviso il pubblico veneziano e sicuramente lo farà anche quando uscirà nei cinema. Per sapere se vi piaccia o meno non resta che vederlo!

Rita Guitto

PRO CONTRO
  • Guardare A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence è un’esperienza. Che sia negativa o positiva sta allo spettatore deciderlo in base ai propri gusti. Fatto sta che l’opera di Andersson rimane un buon prodotto cinematografico che difficilmente si dimentica. Nel bene o nel male.
  • Inutile dirlo ma A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence non è un film per tutti e dà l’impressione di voler far parte di quel filone cinematografico che vuole a tutti i costi essere definito “geniale”. Esperimento interessante, ma forse è stato esagerato premiarlo con un Leone d’Oro.

 

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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Venezia 71. Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, la recensione, 5.7 out of 10 based on 3 ratings

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