Francofonia, la recensione

Francofonia è il primo film a spaccare in due la sala della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: al termine della proiezione, c’era chi lo applaudiva forte e chi non applaudiva per niente. Del resto, i film di Aleksandr Sokurov ottengono sempre questo effetto. Anche il Leone d’oro vinto nel 2011 con Faust non è stato digerito proprio da tutti.

Francofonia viene presentato ufficialmente come un documentario, ma non è un documentario su qualcosa, bensì su qualcuno. Inizia come una narrazione senza volto, per voci fuori campo. Poi, diviene un film destrutturato, come se ci venisse presentato in pezzi smontati, e in seguito mostratoci nel suo farsi. Poi, riprende come viaggio a Parigi, diventa una breve visita al Museo del Louvre e finisce per andare molto oltre, forse pure troppo.

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Perché, in effetti, Francofonia non è un film. E’ piuttosto uno scrittoio pieno di appunti di ogni tipo, risalenti a periodi creativi diversi. E’ un film molto personale. E’ come se il regista compisse un atto di coraggio e ci offrisse ogni anfratto della sua anima. Ma è un ritratto confuso, spesso caotico. Il problema è che, però, questo non è un rimprovero: ciascuno di noi è pieno di sfumature, ma quanti sono in grado di mettersi a disposizione su uno scrittoio? Perché – come già detto – è questo che fa Sokurov. La m.d.p. esplora il mondo come per la prima volta. Si ha, infatti, come l’impressione che il tutto venga filmato con una di quelle telecamere preistoriche. Inoltre, ha uno stile fortemente onirico e, infatti, nel film c’è un punto in cui il regista invita un’immagine di Tolstoj al risveglio. Chiaramente è un’immagine speculare, ma il film non è mai molto chiaro, non va mai preso per come appare. Dentro le immagini e dentro le parole della voce fuori campo c’è come un mistero da svelare, un significato nascosto.

Francofonia

Il film non ha un andamento statico, ma oscilla tra momenti bui e altri in cui tocca vette altissime. Questa è la causa principale delle reazioni divise in sala. Ma, in fondo, è così che si vede il regista: come una figura sospesa tra grandezza e umanità. Parigi non è che una metafora di questo discorso: è una grande città con secoli di storia piuttosto sparpagliati.

Chi lo ha apprezzato, lo ha fatto perché è un film non premeditato, genuino, puro sfogo artistico. Ma, per un occhio esterno, non è un film semplice da giudicare. Risulta difficoltoso perfino attribuirgli un voto. Trattandosi di un film fatto per sè stesso, sarebbe più giusto che fosse proprio Sokurov a darsi un voto, come fece già Fellini con 8 ½.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • E’ un film difficile da dimenticare
  • Ha una narrazione molto originale
  • La voce fuori campo, a tratti, è persino colloquiale
  • Il ritmo, a volte, si intasa
  • E’ un film che non potrà mai essere compreso a fondo da un occhio esterno: troppo personale
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Francofonia, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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